mercoledì 28 settembre 2011

Il peso delle idee

All’interno dell’Area sono molte le cose per le quali non si è pronti. In particolare non si è pronti, per difetto o per volontà, a sostenere un libero scambio e confronto di idee e punti di vista nuovi, a meno che non siano le solite zuppe propagandistiche riscaldate all’infinito, perché su quelle ci si trova sempre d’accordo.

In un panorama in rete, che appare privo di seri luoghi in cui possa essere permesso di esprimersi fuori dai cliché prestabiliti evitando di suscitare reazioni ostili, questo sito, questo de Il Popolo d’Italia, costituisce veramente un esemplare avamposto di libertà di espressione a cui evidentemente pochissimi sono abituati.

Questa caratteristica, che in una certa misura appartiene anche al giornale in edizione stampata, non è casuale ma deriva dalla diretta e precisa volontà della sua Direzione, per tradizione ed in onore del suo primo direttore, il quale fondo “Il Popolo d’Italia” proprio per potere esprimere liberamente le proprie idee, cosa che gli era stata vietata altrove.

Non è né un trattamento di favore né un privilegio, dato che l’opportunità che è stata concessa al sottoscritto di pubblicare qui i propri scritti, sono certo che non verrebbe negata a nessun altro camerata che volesse fare altrettanto, qualora ne facesse richiesta, anzi credo che questo sia già avvenuto in molte occasioni. Come so per certo che le pagine de Il Popolo d’Italia sono sempre state messe a disposizione dei movimenti facenti parte dell’Area.

Tengo a sottolineare che questi contributi al giornale, ciò che per me è stato semplicemente un onore, hanno sempre ricevuto in risposta i graditi ringraziamenti della Direzione e non certo critiche od opposizioni. Di questo non posso che essere enormemente grato a mia volta.

Tuttavia questo è il mio ultimo scritto che apparirà nelle pagine del sito de Il Popolo d’Italia.

Il perché di questa decisione è semplice: la libertà non è tutto, o meglio, come si intende la libertà fascista, essa non è un fine ma è solo un mezzo utile per raggiungere un qualunque progresso, sia strettamente personale che indirizzato al bene comune; conseguentemente, se con l’esercizio di una libertà, non si raggiunge il fine prefissato, risulta naturalmente inutile continuare a farne uso, dato che questo si trasformerebbe in un abuso fine a sé stesso.

L’abuso di cui parlo non è stato sancito da parole dette o scritte da chicchessia ma è una semplice sensazione e di solito l’istinto non mi tradisce. In altre parole ho la sensazione, ed è anche un timore, che la libertà di usare lo spazio che mi viene concesso per esporre le mie idee, possa generare situazioni di disagio o di imbarazzo, se non qualcosa di più, in chi di tale spazio detiene la proprietà ed è anche politicamente impegnato. In aggiunta, non ho mai avuto l’impressione che i miei modesti contributi abbiano giovato in qualche modo al bene ed alla causa comune, quindi verrebbe meno anche l’utilità.

E forse, da quanto vediamo, una vera causa comune nemmeno esiste, come non esiste un fascismo per il quale combattere. Sarebbe più giusto parlare di cause individuali e di tanti fascismi quanti sono i fascisti. Ma questa è un’altra questione sulla quale ho scritto fino alla nausea (anche mia…). Una cosa è certa: non voglio continuare oltre a sostenere il mio fascismo e la mia causa personali davanti alla ceca ottusità altrui.

Non nascondo che pesano molto la delusione e lo sconforto senza fine rispetto allo (s)fascismo imperante, molto peggiore di qualunque antifascismo.

Ma non solo…vi è di più: vi sono schiere di rapaci esaltati ed opportunisti che vivono sul momento, potendo essere oggi gli amici, domani i nemici pronti a tutto, anche a colpire un giornale libero ed indipendente solo per bersagliare l’avversario politico a cui lo stesso appartiene. Stante una simile logica, è un attimo che con uno scritto si finisca involontariamente col fornire il pretesto per critiche ed attacchi e non credo che valga la pena arrivare a sperimentare simili situazioni.

Naturalmente potrei anche sbagliarmi del tutto ma credo che sarebbe meglio se i miei pensieri rimanessero relegati negli intimi confini del mio blog, ove solo io potrei eventualmente rispondere di eresia o lesa maestà, senza rischiare di coinvolgere altre persone.

Certo potrei anche scegliere di uniformarmi al pensiero unico del fascismo “trinariciuto”.

Potrei, ma non vedo a chi o a cosa gioverebbe.

Quindi, grazie a Il Popolo d’Italia e a chi finora ha avuto la pazienza di leggermi.


6 commenti:

  1. Fermo rimanendo il concetto secondo il quale la libertà di un individuo è sacra, va detto anche che rimaniamo quanto meno sorpresi dalle motivazioni che hanno indotto l'articolista a dare l'addio alla testata.

    Come è stato giustamente ricordato, abbiamo sempre detto che lo spazio di questo giornale era aperto a tutti. Paradossalmente lo avremmo dato anche ai centri sociali se questi l'avessero chiesto, nonostante le loro censure nei nostri confronti che dura da oltre 70 anni. La cosiddetta area, ha sempre saputo di questa possibilità. Ma è stata sempre troppo intenta a sputarsi in faccia da sola, a scannarsi tra gnomi, a ridicolizzarsi in tentativi di golpe per l'acquisizione del nulla.

    L'articolista in questione ha descritto più volte un chiaro quadro della situazione in cui versa la nostra politica, e noi lo abbiamo sempre condiviso.

    Apprendere ora dell'abbandono della testata ci lascia esterrefatti, non perché non potremo più avvalerci degli articoli di chi ci sta salutando, ma perché, conoscendo la persona attraverso i suoi scritti, la ritenevamo forte e fiera nei suoi ideali. Proprio in momenti come questi, dove lo sfaldamento dell'ideologia insieme alla disgregazione di movimenti e confederazioni del nostro ambiente, aumenta vertiginosamente, adesso che è il momento di serrare i ranghi, avviene l'abbandono.

    Assistiamo, sconcertati, ad una resa totale di fronte al nemico, alla genuflessione che immola il perdente ad essere tale e il vincitore ad avere persino l'onore delle armi.

    Noi avremmo voluto, invece, che in questo momento di sciagura, di caduta verticale dell'etica, della morale e dei sani principi che da sempre hanno differenziato l'essere umano dall'animale, vi fosse stata la fermezza e la sicurezza di coloro che hanno sempre creduto in determinati principi.
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  2. E' in questi momenti che occorre serrare i ranghi e dare forza alle idee. E' proprio adesso che c'e' bisogno di dimostrare quanto si vale e quanto valgono gl ideali nei quali si è sempre creduto. E sono le occasioni come queste che dividono i perdenti dai puri di spirito, perchè i primi lasciano il loro posto dicendo che tutto e perduto, i secondi si immolano in nome delle loro idee.

    Per questa testata è impensabile un atto di resa. Noi non ci metteremo mai affacciati alla finestra per guardare con sconforto e rassegnazione le divisioni del nemico marciare sotto casa nostra.

    E vorremo che con noi ci fossero i camerati di sempre, quelli che ci hanno aiutato, che hanno combattuto insieme a noi, che hanno espresso con fermezza e durezza le loro opinioni e che, soprattutto, hanno creduto fermamente nei principi per i quali hanno lasciato diverse testimonianze scritte.

    Non bisogna arrendersi. Ora è il tempo di combattere con ferocia, con astuzia e con fermezza. Se non lo facciamo, allora c'e' da chiedersi con quale diritto abbiamo criticato coloro che, prima di noi, si sono comportati allo stesso modo. Arrendendoci faremmo parte di quella critica e saremmo peggiori di coloro che abbiamo criticato.

    Ora è tempo di combattere e non solo con le parole. Dovesse voltare al peggio la situazione, dovremo essere pronti a farlo anche in altri modi. E' questo che ci deve differenziare dalla massa urlante, dalla canea che sgomita all'interno della cosiddetta "area". Noi non ci riteniamo migliori di chi ama vivere politicamente in quel carnaio informe, ma certamente sappiamo di essere diversi. E la diversità sta proprio qui, nel rimanere fermi al proprio posto, per amore dei nostri ideali, dei nostri principi e per noi stessi. Abbandonare vuol dire lasciare campo libero al nemico, una responsabilità che non possiamo permetterci di avere nella storia della nostra nazione.

    La Direzione

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  3. Temevamo fraintendimenti con la nostra risposta, e immancabilmente sono arrivati con una puntualità svizzera. La questione non verte sul personale, ci mancherebbe altro, né abbiamo voluto accusare qualcuno di tradimento o di viltà. Abbiamo solo detto che quando si crede in un’idea, fosse anche personalissima ma di possibile attuazione all’interno di un gruppo, di un movimento o di una associazione di bocciofila, va perseguita senza indietreggiare, senza mai abbandonarla e senza gettare la spugna.
    Questi sono i comportamenti che noi abbiamo sempre avuto. E abbiamo dato prova di essere coerenti con tali concetti proprio con il nostro giornale. Nonostante la scarsità degli abbonati, dovuta ad una mancanza di pubblicità sul territorio nazionale per l’eccessività dei costi, abbiamo continuato ugualmente ad uscire ogni mese dal 1998 ad oggi senza saltare un solo numero. Una coerenza che ci è costato sacrificio economico ad ogni numero, partendo dalla data di riesumazione del giornale fino ai giorni nostri.
    Le nostre idee ci sono costate non solo le gonadi ma anche diverse decine di migliaia di euro. Soldi, i nostri, che non sono stati rimborsati neanche dai finanziamenti all’editoria, benché ci siano state le solite male lingue che non si sono risparmiate nell’asserire il contrario.
    Era questo ciò che intendevamo dire senza accusare nessuno di resa, genuflessione o vigliaccheria. Certo è che se si estrapolano dal contesto di un discorso solo alcune frasi, queste prendono un significato ben diverso, e a volte opposto al senso originale del contenuto.
    L’articolista parla di unificazione dell’ambiente fascista, di cancellazione dei movimenti per crearne uno solo, grande, capiente e genuinamente fascista. Propone non alleanze, ma una compattazione totale, estrema e definitiva. Una proposta, la sua, che non farebbe una piega se non si scontrasse con la realtà, ovvero con una situazione di continui conflitti, invidie, rancori, scippi di tesserati e via di questo passo.
    L’evoluzione politica che l’articolista vorrebbe non è cosa che si crea in 24 ore. Occorrono anni di prove, di proposte, di tentativi, di fallimenti e delusioni e di piccoli passi verso l’obiettivo. E probabilmente occorre anche che si estingua una generazione di pseudo fascisti, sperando che la successiva sia migliore di quella precedente.
    La nostra sorpresa non si è manifestata nell’apprendere il fallimento del progetto di unificazione dei movimenti esistenti, ma per l’abbandono dell’idea in se. Ci siamo sorpresi per la reazione avuta:“Mi sono sgolato, nessuno mi ha ascoltato, allora me ne vado e lascio tutto”. Certo, può essere una soluzione, ma riteniamo sia la peggiore.
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  4. Meglio sarebbe riflettere e capire perché non ha attecchito il proprio pensiero. Meglio sarebbe evolvere le proprie vedute modificandole o cercando un’altra strada per il loro conseguimento. Meglio sarebbe tastare il polso in modo diverso di questo nostro mondo caotico, contorto e facilmente irritabile piuttosto che abbandonare il campo voltando le spalle.
    In sostanza, la nostra replica non si basava su una condanna ma sull’esortazione a continuare la lotta in favore delle proprie idee, dei propri principi, e anche della propria evoluzione. Crediamo che nessuno, al momento, abbia la soluzione in tasca dei problemi che ci attanagliano da decine di anni. Non è con il grido al “volemose bene” che possiamo cancellare anni di demagogia, distruzione delle idee e manipolazione storica.
    Quello che l’articolista propone è il fine, la meta. Ma ciò che l’articolista non valuta è che per arrivare a quella meta occorre percorrere una strada di cui non si conoscono gli ostacoli, i pericoli e neanche la lunghezza. E’ da ingenui pensare che bastino dieci articoli, un foglio di giornale e un paio di blog dove scrivere le proprie risoluzioni. Ciò che si vuole affrontare è qualcosa di enorme, tenuto vivo e vegeto da chi ha ancora interesse a frammentare le nostre fila. Forse se si iniziasse con il prendere di mira i potenziali – e probabili - responsabili dell’atomizzazione della nostra cosiddetta area, (personaggi del passato e del presente), si sposterebbe il campo di battaglia su un altro piano e dal fallimento di una proposta si passerebbe ad un contrattacco diretto e più incisivo.
    Ma per questo tipo di combattimento occorrono la costanza e la fermezza in ciò che si crede e magari anche l’idea di essere pronti a modificare se non la meta, almeno il percorso da compiere.
    Infine, e concludiamo, si cita il fascismo quale ideale puro, retto, incrollabile. E fin qui siamo d’accordo. Ma non si spiega come possa accadere che proprio colui che dà la giusta visione del vero fascismo, e che bolla tutti coloro che non si attengono a quei principi come non fascisti, levi le tende e mandi al macero gli stessi principi da lui evocati. E qui torniamo al nostro discorso sulla “critica” verso terzi. Una critica che può avere solide basi solo se ci si dimostra diversi. Ma se, alla fine, cadiamo negli stessi errori dei criticati, allora quale differenza ci potrebbe mai essere tra chi non ha mai seguito determinati principi e chi li abbandona?
    La Direzione

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  5. Crediamo di essere arrivati alla fine di questo inutile confronto. Se si cercano forzati capi d’accusa e se ci si cimenta nel ruolo di giudice popolare per emanare sentenze al fine di giustificare il fallimento delle proprie proposte, vuol dire che i termini per un confronto non esistono più o che, comunque, si sono esauriti. L’articolista ha una certa difficoltà nel comprendere che una cosa è lavorare ad una testata giornalistica con la quale si è data sempre a tutti l’opportunità di esprimere le proprie opinioni e proposte - anche diverse e contrastanti tra loro - ed altra cosa è gestire un movimento politico dove le opinioni e le proposte non possono essere contraddittorie, pena il decadimento della linea politica. Pertanto, se il discorso verte su un piano strettamente giornalistico, come del resto dovrebbe essere, non è data a questa testata il compito di schierarsi pro o contro le varie proposte. Questa direzione, caso mai, può e deve renderle pubbliche. E’ il lettore che ha il diritto di dare il proprio giudizio sulla validità di quanto prospettato. Se non adottassimo questa regola anche Il Popolo d’Italia si allineerebbe a tutte le altre testate che, invece di diffondere l’informazione, manipolano subdolamente l’intelligenza dei propri lettori incanalandoli verso scelte preconfezionate precedentemente dalle direzioni dei giornali. Ora, che l’articolista tenti di unificare la testata di questo giornale ad un movimento politico per il fatto che il direttore de “Il Popolo d’Italia” è anche il segretario del Nuovo Ordine Nazionale, non onora, né gratifica la coscienza di chi si espone a questo tentativo maldestro di mescolanza delle carte. A questo punto ci sarebbe da chiedersi se, fino ad oggi, gli scritti che ci sono pervenuti dall’interessato erano diretti alla direzione di questo giornale o alla segreteria del movimento politico perché ci pare di capire che da un articolo giornalistico spedito ad una testata si pretendeva una risposta politica da un movimento. Probabilmente c’e’ stato un errore di indirizzo o una confusione di intenti. Questa direzione ha lottato sin dall’inizio affinché il giornale non divenisse un organo di informazione interna di un movimento. E non lo ha fatto solo quando il direttore è divenuto segretario del Nuovo Ordine Nazionale, ma già prima, quando era segretario del Movimento Fascismo e Libertà. Adesso, per ragioni di puro opportunismo, si vorrebbero cancellare queste prerogative che, non solo sono state da sempre alle base del nostro impegno giornalistico, ma che sono state sempre rispettate anche nei momenti in cui le nostre pagine avrebbero potuto danneggiare seriamente l’immagine di movimenti e persone con rivelazioni sorprendenti, ma che avrebbero avuto il carattere dell’inciucio e della vendetta personale. E già il fatto che questa Direzione debba essere costretta a difendersi da accuse pretestuose e mistificatrici lascia capire palesemente la decadenza del dialogo e l’inesistenza di una qualsiasi volontà di chiarimento. In sostanza pare che chi non accetti la proposta dell’articolista, giusta o sbagliata che sia, diventi l’eretico per eccellenza. Questi atteggiamenti fanno cadere nel campo dell’inutilità qualunque progetto, perché se a questi non segue quel senso di umiltà a cui si dovrebbe fare sempre capo e se non vi è la volontà di ascoltare anche i pareri altrui, allora il progetto diventa imposizione e la mancanza d’umiltà viene riempito dalla protervia di chi pensa di detenere la divina risoluzione a problemi che necessitano di studi più profondi e diretti. In effetti, chi propone dovrebbe avere una giusta cognizione di causa affinché ciò che prospetta possa avere una valenza. Ciò vuol dire che al suo attivo ci dovrebbe essere quel bagaglio di esperienza che solo una militanza può dare e che solo la presenza su strada, il mettersi in gioco, il rischiare personalmente, fuori dalle pareti domestiche protettive, possono produrre. Il nostro tempo non ha bisogno di altri filosofi che con carta e penna redigono il futuro dell’umanità.
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  6. Il nostro tempo ha bisogno di condottieri pronti a sanguinare, e non per forza del proprio sangue, perché siano creduti. Noi lo facciamo. Ci mettiamo in gioco quotidianamente. Il giornale è pubblico e viene divulgato anche oltre confine. Ciò che scriviamo arriva sotto gli occhi di diversi camerati, ma anche di coloro che prendono il nostro nome e lo trascrivono sul registro degli indagati o sulle liste di proscrizione giudaiche. E ci fermiamo al campo giornalistico, perché se dovessimo aprire il capitolo politico andremmo molto oltre. Concludendo, come abbiamo già specificato all’inizio, riteniamo che non sussistano più motivi validi per continuare questo confronto ormai arrivato ad un livello talmente basso da non lasciare alcun spazio ad una qualsiasi espressione di pensiero sul tema principale. Constatiamo con sconforto che il vizio di attaccare sul personale è cosa che ha contaminato anche chi si è tenuto ben lontano da qualsiasi ambiente politico. Ciononostante le nostre pagine continuano a rimanere aperte a chiunque voglia proporre le proprie idee o scrivere i propri punto di vista, anche se abbiamo notato che molti detentori di verità assolute si sentono affaticati persino quando devono scrivere le proprie idee, sempre che non sia la paura la vera ragione che li paralizza. Da parte nostra inutili ulteriori repliche.
    La Direzione

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Oggi come ieri

"Noi non siamo, no, dei rivoluzionari sovvertitori. Noi vogliamo che uno Stato forte risorga e per le Leggi comandi!" Cesare Maria De Vecchi, Ottobre 1922

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