Forse siamo ad un bivio. La Grecia ha deciso di indire un referendum per chiedere ai suoi cittadini se intendono accollarsi l'onere della crisi che si è abbattuta sul Paese.
In buona sostanza si tratterà di decidere se rimanere sotto le tenaglie degli interessi bancari, (Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) o allontanarsi dal branco degli squali-banchieri per tornare ad essere una nazione indipendente sotto il profilo economico e finanziario. Dalle dimostrazioni popolari che vi sono state da un pò di tempo a questa parte, si darebbe per scontata una votazione negativa, ovvero un "no" della popolazione greca allo strangolamento economico. E probabilmente così sarà.
Il problema Grecia, però, non è che la punta di un iceberg di proporzioni gigantesche la cui mole è il risultato delle azioni nefaste compiute dalle banche internazionali che con la loro famelicità ed ingordigia hanno indotto il disastro economico in tutto il mondo.
Se la nazione di Papandreou dovesse chiamarsi fuori dalle ristrettezze a cui si è dovuta assoggettare, vi sarebbe un effetto domino di proporzioni bibliche. Caduta la Grecia il rischio di default toccherebbe alle altre nazioni europee più deboli, tra cui l'Italia. La caduta di queste comporterebbe un peso economico e finanziario enormi per i rimanenti paesi dell'unione europea (compresi Francia e Germania), i quali non riuscirebbero più a mantenere in vita l'Euro. La disgregazione comunitaria, a questo punto, sarebbe inevitabile.
Ma le conseguenze della caduta dell'Euro non si fermerebbero al vecchio continente. I buoni del tesoro delle nazioni europee diverrebbero carta straccia, le banche imporrebbero un aumento degli interessi derivanti dalla perdita del capitale investito per l'acquisto dei suddetti buoni. Ma,nonostante questo, l'insolvenza delle nazioni porterebbe comunque al crack economico degli istituti di credito i quali arriverebbero al punto di non poter restituire neanche i soldi versati sui conti correnti dai loro clienti.
L'America non si salverebbe da questo tsunami catastrofico in quanto le sue banche rischierebbero la perdita dei capitali investiti in Europa. La caduta del capitale bancario americano trascinerebbe, a sua volta, la Cina, la quale, solo con l'America, ha un rapporto bancario che va oltre i 107 miliardi di euro in titoli di varia natura.
Ciò che si sta presentando con tutta la sua drammaticità è una realtà tragica. Molti italiani hanno auspicato l'uscita del nostro Paese dall'Euro e tra essi anche noi, che spesso abbiamo sostenuto tale condizione. Ma alla luce dei fatti sarebbe bene valutare gli scenari che si potrebbero aprire.
C'e' da giurare che le banche faranno di tutto per recuperare il loro capitale, oltre agli interessi, e tenere al guinzaglio le nazioni passive "ribelli". I banchieri non hanno mai mostrato alcun interesse per le nazioni condizionate ad accettare tassi da usura e penali impietose in caso di ritardi o insolvenza. Tanto meno lo farebbero adesso con la Grecia e con le altre nazioni. Ciò comporterebbe la messa in atto di una forma coercitiva per recuperare i diversi miliardi di euro investiti. E i metodi che potrebbero usare potrebbero essere drammatici e tragici.
Va ricordato che il capitalismo selvaggio, ovvero proprio quello che ha creato la crisi ed indotto le nazioni ad indebitarsi fino al collo, hanno finanziato guerre e terrorismo in tutto il mondo per tenere sotto scacco i governi che avevano ricevuto prestiti e sostegni finanziari dalle banche mondiali.
Sarkozy, pietosamente impantanato nel sionismo bancario, non ha usato mezzi termini per far comprendere che se l'Italia non avesse aiutato a salvare le banche francesi avrebbe potuto rischiare, non solo di essere la responsabile delle conseguenze nefaste, ma avrebbe potuto anche vivere gli effetti delle iniziative belliche che sarebbero potute scoppiare all'interno dell'Europa. Un chiaro avvertimento militare in stile diplomatico che non è sfuggito a Berlusconi, il quale si è subito attivato per garantire al burattino francese la protezione delle banche d'oltralpe.
E che la Francia sia in mano al sionismo non è cosa che possa essere messa in discussione. La prova del nove, qualora ce ne fosse stato bisogno, si è avuta poco prima dell'assassinio del colonnello Gheddafi, quando il presidente francese, insieme al primo ministro inglese David Cameron, si è recato a Tripoli accompagnato da un signore che non si è negato alle telecamere e che si chiama Bernard-Henry Levi. Un uomo già noto in Italia per i suoi articoli pubblicati sul "Corriere della Sera", ma ancor più noto nel mondo per essere un attivo sionista frequentatore dei salotti bene della Francia e delle sale dell'Eliseo. Un personaggio che usa il suo dottorato in filosofia come mantello per coprire le attività sioniste
a cui è da sempre votato. Personaggio scivoloso, ambiguo, double face, come si addice al classico sionista, che a Tripoli, attraverso la sua presenza ufficiale, ha issato la bandiera del suo credo politico religioso sulla fossa di quella che sarebbe stata la tomba del Rais.
Anche se nelle riprese ufficiali Henry Levi figurava dietro Sarkozy, la vera immagine andava vista capovolta, con un Bernard-Henry Levi che portava al guinzaglio il fedele cagnolino francese, pronto a scodinzolare ad ogni sguardo del suo padrone.
Questo è il pericolo verso il quale il mondo intero sta andando. Lo sanno molto bene i politici internazionali e quelli caserecci, ma a noi tale possibilità viene annunciata in maniera blanda, come si usa fare in Italia quando c'è un pericolo mondiale. Tutto va bene, noi non rischiamo nulla. Noi siamo fuori dal pericolo. Invece no. Questa volta ci siamo dentro e con tutti e due i piedi perché non rischiamo solo il default ma anche un pericolo bellico per il quale, come sempre, ci troviamo impreparati.
La possibilità di una guerra non va scartata a priori. Vi sono le condizioni, le premesse, le basi. E poi, i nostri vecchi hanno iniziato già a dire:" Solo una guerra ci potrà fare uscire da questo caos". E la parola degli anziani è sempre stata carica di realtà e lungimiranza.
La possibilità di una guerra non va scartata a priori. Vi sono le condizioni, le premesse, le basi. E poi, i nostri vecchi hanno iniziato già a dire:" Solo una guerra ci potrà fare uscire da questo caos". E la parola degli anziani è sempre stata carica di realtà e lungimiranza.
E poi, nel caso vi fosse una ritorsione armata da parte dei padroni del mondo, ovvero del sionismo bancario, quanti di noi sarebbero disposti a combattere per la bandiera americana o per quella sionista, le cui ombre coprono i grattacieli del capitalismo più becero, spregiudicato e cinico esistente? Quanti di noi non imbraccerebbero le armi, invece, contro queste bestie senz'anima, che producono soldi non per il benessere mondiale, ma per indebitare le nazioni al fine di piegarle ai loro voleri?
Se guerra dovesse essere, sarebbe impensabile farla infoltendo i fronti dei banchieri. Chi ha creato i presupposti di una guerra, chi la potrebbe finanziare e chi ne avrebbe giovamento va combattuto ferocemente e non difeso.
Se la Grecia dovesse essere il punto di inizio della caduta verticale verso una guerra è bene che le coscienze di noi tutti siano preparate e decise per una scelta giusta, logica e priva del solito interesse personale che ci contraddistingue nel mondo.
Il nemico è uno solo, ed è il sionismo con i suoi complici. Le armi andranno puntate verso quella direzione. Diversamente, oltre ai nostri risparmi, agli opulenti ed immorali banchieri di razza ebrea, verseremo anche il nostro sangue. Mentre per coloro che sopravvivranno, ciò che gli aspetterà, sarà peggiore della morte.
DUCE DUCE DOVE SEI?
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