giovedì 18 agosto 2011

La rivoluzione impossibile

Il fascismo è stato rivoluzione. E' nato dalla rivoluzione e si è radicato con la rivoluzione. Ma a differenza dell'immaginario collettivo, la rivoluzione fascista non è stata condotta con le armi, non ha avuto il suo martirologio costellato di migliaia di morti per la causa, non ha scatenato guerre civili e non ha ribaltato, armi alla mano, alcun governo. E' stato un fenomeno spontaneo, voluto, sentito, che ha saputo fare ben più di quanto avrebbero fatto le canne dei fucili. Ha sconquassato l'intero assetto sociale della nazione italiana, l'ha rivoltata come gli arati fanno con la terra, ha destituito metodi e regole di conduzione statale per soppiantarli con una visione societaria completamente diversa, dove lo Stato era tutto e dove tutto era all'interno dello Stato. Fuori il nulla.


Sono passati molti anni da quel momento epocale e i libri di storia si sono riempiti di fatti, nomi, eventi e spesso, anche di leggende, falsità e menzogne Oggi viviamo in un mondo completamente diverso, dove pare che la rivoluzione fascista non sia mai avvenuta, anche se l'intero territorio italiano ne testimonia la passata presenza con le rimaste costruzioni di edifici, monumenti ed opere pubbliche compiute all'epoca. Persino alcune delle leggi attuali risalgono al periodo di quel capolavoro rivoluzionario che seppe compiere un vero miracolo: quello di instaurare una nuova classe dirigente con la forza, ma senza il tributo di sangue che ogni rivoluzione aveva sempre richiesto.

Sono storie di altri tempi, talmente lontane che sembra quasi di parlare di fatti accaduti ai tempi degli antichi romani, benché non sia ancora passato neanche un secolo da quel momento epocale.

Eppure, nonostante la lontananza storica, il corso del tempo che ci ha separato dal passato rivoluzionario fascista, ha visto altre forze politiche e singoli individui che hanno custodito, a modo loro, il seme di quella rivoluzione, in attesa che si manifestassero i tempi propizi perché potesse tornare a germogliare. Ma la custodia di quel seme è stata spesso maldestra, ha visto mani incapaci e superficiali gestirlo incautamente, altre che lo hanno svenduto ai contro rivoluzionari, cioè ai democratici, ai capitalisti, ai massoni, ai sionisti, ovvero a coloro che di quel seme ne avrebbero fatto cenere, consci del fatto che l'albero che ne sarebbe sorto avrebbe avuto radici talmente forti e profonde da non permettere loro alcuna azione che fosse priva di regole e che fosse protesa a proteggere l'interesse del singolo a scapito della collettività.

L'incapacità nel proteggere un seme così importante ha creato la situazione odierna in cui viviamo. Capitalismo selvaggio, padronanza assoluta delle banche e degli speculatori economici di casa e stranieri, svendita del beni dello stato, disinteresse dei politici di governo verso i problemi della nazione, continui prelievi economici dalle tasche delle famiglie italiane, servizi sociali sempre più decadenti, invasione incontrollata di extracomunitari provenienti da ogni angolo del mondo, criminalità dilagante, droga spacciata in ogni angolo di strada, disinteresse alla vita politica e sociale da parte della popolazione, mancanza di cultura, incompetenza, faciloneria, gestione maldestra della cosa pubblica, insomma una distruzione del tessuto sociale di proporzioni epocali, di cui nessuno ricorda simili precedenti.

Ad un tratto però, qualcuno si  è ricordato della rivoluzione di popolo, della possibilità di poter ottenere cambiamenti repentini con l'uso della forza li dove non  è possibile ottenerli in altro modo. Si è tornati a parlare di rivoluzione. E quelli che hanno ripreso il seme lasciato dal fascismo originale sono stati i fascisti delle nuove generazioni, cioè quelli che con il ventennio non hanno avuto mai nessun legame e che conoscono quel periodo storico solo per sentito dire, perché sono pochi coloro che si sono documentati seriamente per comprendere l'entità, le capacità ed anche la pericolosità di un azione di forza rivoluzionaria.

Ogni giorno i nuovi mezzi di comunicazione virtuale trasmettono un numero di messaggi sempre maggiori che incitano alla rivoluzione. Alcuni dei movimenti più conosciuti, ma che peccano di una scarsa penetrazione sociale, hanno volutamente alzato il tiro, per non parlare dei singoli individui che, da casa, incitano gli altri a fare i rivoluzionari al posto loro.

Lasciando da parte i poltronari e gli attendisti perpetui, i movimenti che si sono dati da fare in forma pratica con il compimento di diverse azioni sul territorio, (che  peròsono rimaste sempre poco conosciute e che non hanno mai sortito alcun cambiamento politico o sociale), sono passati ad esortare quotidianamente le persone a scendere nelle strade per esigere ciò che è nei diritti di un popolo. Editti, proclami, incitamenti, sono diventati la somministrazione rivoluzionaria giornaliera da inoculare nelle vene di un popolo che però rimane distratto come lo è stato nei decenni passati, che si cura di se stesso nell'ambito del raggio d'azione che comprende il proprio luogo di residenza e, al massimo, quello di lavoro. Le grida di allarme e di esortazione alla rivoluzione, sociale o armata che sia, sono rimaste nelle gole di chi ha cercato di farsi sentire, di chi ha sperato in una insurrezione popolare. Il fascismo attuale non poteva compiere niente di più sbagliato scegliendo il momento meno propizio e più pericoloso, con il rischio di dare a se stesso il definitivo colpo di grazia .

Dopo decenni di inettitudine, di lotte interne, di distruzione dei capisaldi dell'ideologia fascista, dopo la de-culturizzazione dell'ideale fascista che ha portato un numero elevato di  persone a militare in AN e nel PDL con la convinzione di potersi definire ancora "camerati", dopo il rinnegamento degli ideali compiuto da molti altri, che da ferventi fascisti sono diventati abili traffichini ammanicati con i politici di zona con i quali hanno spartito torte milionarie tra appalti pubblici, piani regolatori e truffe alle casse dello stato, il fascismo del terzo millennio si è svegliato di colpo chiedendo a gran voce la rivoluzione contro le banche ed il potere economico e politico. Insomma, dopo aver svuotato le caserme, i pochi generali rimasti, e che peraltro peccano di incapacità storicamente documentata, si sono affacciati dalle finestre dei loro alloggi ed  hanno impartito l'ordine ad un cortile desolato di stare pronti per il sacrificio estremo in nome del popolo italiano. E qui viene da chiedersi se tale richiesta fa parte di una demenza ormai in stato avanzato e non più curabile, o se vi è sotto una strategia - probabilmente terminale - da parte delle forze verso le quali la rivoluzione dovrebbe scatenarsi.

I fascisti del terzo millennio stanno chiedendo qualcosa di impossibile da attuare. Non esistono mezzi, non esistono uomini ma, soprattutto, non esiste l'intenzione da parte di un'Italia in continuo stato di coma vegetativo di rischiare la propria pelle o la propria libertà per una rivoluzione impraticabile perché è priva di organizzazione, perché non ha capi seri, carismatici, validi. Basta pensare a cosa disse un pubblico ministero quando venne intervistato a proposito del massacro avvenuto in Olanda recentemente. Alla domanda di un giornalista circa un possibile ritorno al terrorismo nero, il Pm disse che si poteva stare tranquilli. A detta sua - e visto il ruolo del personaggio non si fa fatica a credergli - non esistono nel nostro ambiente persone in grado di mettere  in piedi alcuna cellula terroristica. Non esistono capi profondamente convinti fino al punto di far nascere neanche un accenno di scintilla rivoluzionaria. Non esistono organizzazioni in tal senso, né la possibilità che esse siano create. Una sentenza spietata e lapidaria sul nostro cosiddetto ambiente che ci relega nel campo della nullità, dove vanno tutti coloro che non fanno paura, che non esistono e che non hanno alcuna possibilità di far parte di un momento storico per il quale sono richieste benr altre basi.

Ma non c'era bisogno del Pm di turno per venire a conoscenza dell'incapacità esistente all'interno delle organizzazioni politiche fasciste o pseudo tali. Lo sanno anche le pietre che, ad oggi, non esiste un solo movimento che possa incutere alle forze economiche e politiche attuali, non il timore, ma il solo fastidio per la propria presenza.

Lo sanno anche quei generali che sono rimasti nelle loro caserme, con un passato storico che è meglio non ricordare e con una desolante assenza di militanti all'interno delle loro caserme politiche dove continuano a comandare con ostinazione, senza rendersi conto che ogni giorno che passa la loro solitudine diventa sempre più grande. Lo sappiamo noi, che dalle colonne del nostro giornale abbiamo spesso tastato il polso della gente per sentire la loro reazione, un loro sussulto di rabbia di fronte alle speculazioni infami, alla povertà dilagante, alle ingiustizie sociali. Ma non abbiamo avuto nessun riscontro. Quel polso non aveva alcun battito.
Lo sa persino lo scrivente che ha dovuto constatare di persona una verità dolorosa e amara, ovvero quella di scoprire il doppio gioco di un ex combattente della RSI, poi diventato senatore di uno stato fondato sulla corruzione e sulle tangenti, che aveva fondato un movimento dal nome fascistissimo non  per amor di fede, ma per meglio servire il nuovo padrone, dando ad esso i nominativi dei tesserati al fine di creare una vera e propria lista di proscrizione tutt'ora in mano ai servizi interni.

Lo sanno tutti che il nostro ambiente c'e' ma è come se non esistesse, che non esiste nessuno pronto a sparare. E poi a chi? Con cosa?

Allora, ecco di nuovo la domanda di prima. Se la chiamata alla rivoluzione non è dettata dai generali di cui sopra e che sono ormai giunti alla fase terminale di deficienza allo stato puro, o da chi è nato politicamente ieri e che disconosce in toto i fatti, è possibile che vi sia una strategia da parte delle forze economiche e politiche imperanti di voler usare quell'humus rivoluzionario, che di fatto esiste, per far uscire allo scoperto quei pochissimi che potrebbero ancora credere in un simile evento per poi decapitarli sulla pubblica piazza, (ma andrebbe bene farlo anche nelle segrete dei loro caveau), al fine di terminare, una volta e per sempre, un possibile nemico che, benché piccolo ed insignificante oggi, potrebbe essere una spina nel fianco domani?

O, forse, esiste un'altra possibilità. E' probabile che i generali deficienti credano davvero di poter fare la loro rivoluzione sociale o civile che sia. E in base alla loro metrica di valutazione stanno davvero progettando di compattare quelle poche forze libere rimaste per creare una sorta di avamposto, di milizia combattiva pronta a tutto pur di ribaltare le condizioni attuali e coloro che le impongono. Ma ciò di cui non si rendono conto questi generali con le loro caserme vuote e con le casse ancora più vuote, è che la loro rivoluzione, nel momento stesso in cui prenderà vita, rischierà di essere presa in mano dal nemico che con la forza economica ed il potere politico che attualmente possiede la porterà avanti da sola ribaltando di 180 gradi gli scopi e le mete, distruggendo così ogni iniziativa e possibilità di riscatto futuro.

Ogni rivoluzione deve avere alla base gli uomini e dei mezzi. L'ambiente fascista non dispone nè dell'uno, né dell'altro. Non vi sono neanche improbabili potenze straniere a cui potrebbe interessare un cambio di rotta della nazione Italia. E allora i soliti cialtroni dal passato innominabile stanno parlando di un solo tipo di rivoluzione.

Una rivoluzione impossibile!

6 commenti:

  1. Sono sostanzialmente d'accordo con quanto viene espresso in questo articolo.
    Non so chi abbia maturato velleità di rivolta e di rivoluzione con una sufficiente dose di ottimismo riguardo alla partecipazione di massa del popolo e sulle reali possibilità di successo. Non vedo chi possa avvalersi della necessaria organizzazione e di quella massa critica di rivoluzionari pronti a tutto, senza la quale non sarebbe nemmeno possibile innescare l'evento.
    La storia insegna che fin quando il popolo non comincia a soffrire seriamente la fame, è ben difficile che dia spontaneamente inizio ad una rivoluzione contro il regime, figuriamoci poi se ciò possa scaturire in una atmosfera ben satura di narcotico come questa in cui vegetiamo.
    Nella attuale situazione socio-politica l'unica rivoluzione possibile può nascere dalla guida di una consistente e crescente forza politica in grado di entrare in perenne stato di contrasto con le forze del sistema, fino al momento fatidico in cui verrebbe a porsi alla testa della ribellione popolare.
    Sarebbe necessario partire da un movimento, forse non subito di massa ma compatto e coeso al suo interno e con un capo carismatico alla guida. Per fare un esempio, finora una simile conpresenza di detti elementi si è avuta in un solo caso, cioè nella Lega Nord di 10-15 anni fa; probabilmente e per nostra fortuna, questo movimento godeva del solo appoggio del nord Italia ed una eventuale ribellione contro il sistema si sarebbe tramutata in un conflitto civile contro il resto della Nazione; non è un mistero che più volte venne paventata la secessione della "Padania"da parte della Lega ma certamente la consapevolezza dei rischi connessi ha sempre indotto ad evitare una simile avventura.
    Il caso fascista è ben diverso, come è stato puntualizzato. Inutile tornare a descrivere lo stato di estrema divisione che caratterizza la galassia neofascista e nemmeno ci interessa elencarne le cause, piuttosto lo teniamo presente come unico vero dato di fatto da cui poter ripartire per elaborare riflessioni efficaci. Almeno così dovrebbe essere, se la logica non ha del tutto abbandonato la mente umana. Eppure non si da il dovuto peso a questa questione e l'attenzione è costantemente rivolta altrove. Crescono a dismisura le mucchie di proclami, manifesti, comunicati, mini summit ed amenità di vario genere, mentre le quotazioni del fascismo erano a zero dieci anni fa, continuano ad essere nulle oggi e tutto lascia pensare che tali resteranno anche in futuro. Si comprende benissimo che queste attività facciano bene al morale ed alimentino le illusioni ma non è comprensibile la valenza di lotta al sistema che si vorrebbe attribuire loro. Mi auguro sinceramente che cresca la coscienza degli errori che si stanno commettendo e che abbia inizio una nuova stagione concentrata sulla ricerca della concordia e della unità inderogabile del fascismo. La prima rivoluzione che attende il fascismo è quella da attuare al proprio interno, la prima vittoria da ottenere è quella contro quella parte di sè deleteria e distruttiva.

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  2. E' evidente ed evidenziabile che Gruppi cosidetti Neofascisti estremisti nuocciano al revisionismo ed alla verità. E tutti gli incitamenti a manifestazioni ed a rivoluzioni altro non farebbero che nuocere al Presidente del Consiglio ed al Governo unica difesa contro l'armata rossa. Occorre una sana riflessione e questo contributo è fondamentale ad una riflessione ragionata ed a ovviare a virate di fora inconcludentie dannose.

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  3. La questione rivoluzionaria si basa, purtroppo, sull'esatto contrario di ciò che si crede. Le rivoluzioni sono sempre nate in uno stato di agiatezza della popolazione e, soprattutto, di coloro che l'hanno scatenata. E' falso il concetto secondo il quale la rivoluzione nasce dalla povertà. E' vero, invece, l'esatto opposto. Dalla povertà nascono moti insurrezionali che sono destinati a spegnersi in breve tempo, come i covoni di paglia.
    La rivoluzione è tutt'altra cosa. E' un'azione contro lo stato che esige menti eccelse, capaci di infervorare gli animi di un popolo e di preparare militarmente una guerra civile e che, alla fine, è pronta a governare una nazione con uomini validi e preparati, sperando che siano migliori di quelli presi a calci in culo.

    La rivoluzione esige un lavoro di base preparatorio che non può essere fatto in 24 ore.

    La storia ci ribadisce gli insegnamenti di sempre. La rivoluzione francese si scatenò in un periodo completamente diverso da quello che ci viene descritto dai testi che conosciamo. Nel periodo pre rivoluzionario le condizioni economiche della popolazione francese furono generalmente buone.
    La stessa cosa vale per la rivoluzione russa. Proprio in un momento di calma e di riforme migliorative si scatenò la rivoluzione d'Ottobre. E Lenin, le cui origini sono state inserite volutamente e artificiosamente all'interno delle caste più povere e bistrattate, in realtà arrivava da una famiglia aristocratica.

    La povertà, quella che porta un popolo alla fame, non permette alcun moto rivoluzionario. Il pensiero primario di un popolo affamato è la sopravivvenza, nient'altro. Le persone si scannano l'un l'altro per poter unire il pranzo con la cena, per dare un bicchiere di latte ai propri figli, per mettere un pezzo di pane sulla tavola. Non fa altro e non può pensare ad altro, tanto meno ad un progetto impegnativo e delicato per il quale occorrono mente libera e pancia piena come la rivoluzione richiede.

    Diversa la questione sui moti insurrezionali. Scaturiscono da una rabbia popolare, da ceti che si sentono oppressi, minacciati, disumanizzati. Scoppiano dal giorno alla notte, ma con altrettanta velocità si spengono perchè sono facilmente attaccabili dalla repressione di stato. Non hanno un'organizzazione che li comanda, non hanno capi carismatici, non posseggono mezzi, nè hanno a loro disposizione persone capaci di guidarli militarmente.

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    Nel tempo, i sovvenzionatori delle rivoluzioni, ovvero coloro che ne hanno sempre tratto tutti i benefici, si sono "specializzati" nell'innescare le rivoluzioni. Hanno capito che era necessario trovare il metodo per tenere sotto controllo qualcosa che, una volta innescato, sarebbe potuto esplodere nelle loro mani. E allora la forza economica e politica di chi ha sempre deciso le sorti delle nazioni si è evoluta creando organizzazioni mondiali dalle quali vengono diramate le direttive per i colpi di stato, per le rivoluzioni e per la narcotizzazione dei popoli.

    Noi, per il momento, facciamo parte di quest'ultima categoria e non è difficile capirne i motivi. In uno stato di semi agiatezza in cui ancora vive la nostra nazione, sarebbe possibile la radicalizzazione del seme della rivoluzione. In questo modo il processo storico avrebbe una sua continuità.
    Invece, in un momento propizio, nessuno si muove. E coloro che incitano alla rivoluzione sono quelli che non dispongono di mezzi e che sono stati screditati dalle loro azioni e dai loro trascorsi. Personaggi ai quali non si potrebbe affidare neanche il proprio cane per portarlo a pisciare.

    Dalle organizzazioni mondiali le direttive riguardanti la nostra nazione sono state queste. Narcotizzazione del popolo, inserimento dei problemi sociali per i quali le menti devono operare verso la salvaguardia dei propri beni e del territorio in cui vivono, (sviando così ogni attenzione verso cose che vanno oltre la portata del proprio interesse personale), e voce agli interdetti, ovvero a coloro che con le loro grida rivoluzionarie possono solo screditare sul nascere ogni possibilità di ribellione collettiva ed organizzata.

    Le catene che ci sono state messe ai polsi e alle caviglie, come gli schiavi africani di lontana memoria grazie ai quali l'America oggi può vantare di aver raggiunto il nucleo animico della democrazia, non ci permettono altro.

    Spezzare le catene può essere possibile, ma non è un'impresa facile, anzi, per molti versi è ciclopica.

    Per le nazioni narcotizzate come lo è l'Italia, vanno pensati altri metodi rivoluzionari rispetto a quelli classici. La mano armata serve senza dubbio ma non per l'attacco, quanto per la difesa.

    Il vero colpo al sistema può essere dato solo attaccando i suoi metodi di anestetizzazione. Non è con l'uccisione di capi politici o d'industria che si possono risolvere i nostri problemi, ma è con il metodo islandese, ovvero con l'uso della legge e della sovranità popolare che proprio negli stati democratici sancisce l'inizio e la fine dei poteri politici degli uomini eletti come rappresentanti ma che non sono stati in grado di difendere e proteggere il proprio popolo.

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    L'uscita dalle regole economiche e bancarie, lo svincolo dalla morsa dei prestiti della banca europea, l'abbandono dell'unione europea fino a quando le banche faranno da padrone, il ripristino del conio di stato, la nazionalizzazione della banca d'Italia, la statalizzazione delle infrastrutture pubbliche, quindi della sanità, dei trasporti, dell'educazione, dei servizi sociali in genere, la sovranità monetaria, sociale e civile del popolo, la ripresa della propria indipendenza, oltre che della propria dignità morale ed etica che devono passare obbligatoriamente dalla condanna e la carcerazione di tutti coloro che, in Italia o all'estero hanno contribuito alla recessione economica o che hanno speculato sulla caduta dell'euro e sche hanno indebolito le potenzialità finaziarie della nazione, possono essere le armi a nostra disposizione.

    Anche questa è una rivoluzione, e come tutte le rivoluzioni va seminata, va incoraggiata, vanno ricercati gli uomini giusti da dare loro il comando di piccole zone territoriali dove seminare ancora, dove cercare altri elementi e dove iniziare a far attecchire un metodo economico e produttivo diverso da quello che tutti seguono. Abbiamo la possibilità di operare su riferimenti lasciati da persone autorevoli come lo è stato il prof. Auriti. Quelli con il naso da corvo, sempre seduti sulle comode poltrone con i loro culi flaccidi, si sono agitati non poco quando hanno capito dove avrebbero potuto portare le teorie del professore. Non per nulla hanno cercato di zittirlo mandandogli a casa la Guardia di Finanzia, sempre pronta a fare le pulci ai piccoli e medi peronsaggi, ma mai presente, di spontanea volontà, in una banca per controllarne i bilanci.

    Insomma, questa può essere la nostra rivoluzione. Se vogliamo la potremmo chiamare "rivoluzione d'Islanda" perché essa ha dato un ottimo esempio riproducibile in ogni nazione. Ma è questo il metodo combattivo che dobbiamo usare.

    E se poi, i politici italiani e i nasi da corvo, per difendere il loro strapotere ci dovessero mandare i carri armati in piazza o dovessero scatenare la repressione guidata dal sionismo ormai infiltratosi in ogni luogo, si potranno sempre rispolveare i vecchi metodi rivoluzionari. In tal caso essi avrebbero più che un valido motivo per essere ripresi e messi in atto.

    Il fascista.

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  6. Credo che sia abbastanza inutile stabilire quali siano in genere le modalità e le condizioni favorevoli all'innesco di una rivoluzione e poi al suo eventuale successo.
    Per quanto ci interessa, conviene piuttosto riflettere sul fatto che in realtà la sovranità popolare in Italia non esiste affatto o, per meglio dire, è completamente nelle mani dei partiti politici, i quali, avendone ricevuto in origine la delega d'esercizio e di rappresentanza per conto del popolo, se ne sono poi impossessati senza possibilità di restituzione, pena la cessazione della loro stessa esistenza. In quanto al "popolo", direi che nemmeno ne esiste più una parvenza; piuttosto gli italiani sono una massa di circa 60 milioni di individui separati, ognuno con le proprie illusioni egoistiche da inseguire, secondo il modello di società inculcato negli ultimi 70 anni. Il risultato è che l'italiano è un perfetto individualista pienamente ripiegato su sè stesso e concentrato solo su ciò che accade nella propria sfera privata, avendo lasciato in delega al partito prescelto tutte le scelte che riguardano la collettività ed il destino della nazione.
    I cambiamenti a cui si è fatto accenno nella parte finale dell'intervento precedente non potrebbero mai divenire realtà grazie alla semplice divulgazione "evangelica" di pochi individui o di piccoli gruppi. Si tratta di cambiamenti talmente grandi e sconvolgenti da poter essere attuati solo da un governo nazionale che sia riuscito nell'intento di trovare quel "punto di saldatura" con un Popolo ricompattato in tutte le sue componenti sociali e politiche; un punto di saldatura talmente forte da poter fronteggiare le reazioni rabbiose di tutto il sistema internazionale, fatto di istituzioni e legami con stati nazionali, organizzazioni ed alleanze di durate pluridecennali.
    Questo nuovo assetto potrebbe essere solo il frutto di un percorso politico di una forza politica e di null'altro. Il chi ed il come appartengono ad un altro capitolo di discussione. L'unica cosa certa è che l'unica rivoluzione possibile può transitare sull'unico binario agibile oggi in Italia, quello della guerra politica e per questo è necessario avere un movimento rivoluzionario di massa.

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Oggi come ieri

"Noi non siamo, no, dei rivoluzionari sovvertitori. Noi vogliamo che uno Stato forte risorga e per le Leggi comandi!" Cesare Maria De Vecchi, Ottobre 1922

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