lunedì 5 settembre 2011

C'era una volta...

La guerra era finita. Dietro di se aveva lasciato lutti e distruzione. Ovunque si respirava ancora l'odore acre delle esplosioni, dei detriti dei palazzi crollati. I morti affioravano dalle macerie, con i loro arti tesi, le loro posture rigide che la morte aveva assegnato come testimonianza del suo passaggio e, forse, come monito ai sopravvissuti.

Alcuni di questi ultimi, però, non si erano ancora rassegnati, e dopo il sangue sparso sui campi di battaglia, decisero che era giunta l'ora di spargere quello fraterno, in una lotta intestina che non aveva né fronti, né divise. E così si scatenò la guerra civile. Forse meno cruenta di quella militare, ma più spietata, più cinica, più infame. In quella lotta in armi, ciò che contava era la forza bruta e la mancanza del rispetto di ogni regola.


 Il più violento, il più risolutivo, il più bestiale avrebbe avuto ragione sugli altri. Sarebbe sopravvissuto portando altri lutti, altro dolore, altre sofferenze. Così una nuova guerra sostituì quella appena terminata, ed i morti continuarono ad invadere le strade delle città e dei paesi. Altri, invece, vennero fatti sparire per sempre, perché una delle due fazioni in guerra si dimostrò talmente cinica e perversa che pensò di uccidere anche il ricordo del suo nemico, oltre il suo corpo.

Ma passarono anche quei momenti e la pace regnò nuovamente. Fu l'avvento della democrazia, una forma politica utopistica portata da coloro che vinsero la guerra, quella combattuta al fronte. I vincitori dissero che gli ideali democratici avrebbero debellato sul nascere ogni forma violenta e armata di lotta e che avrebbero rinsaldato le anime di coloro che avevano combattuto la seconda fase della guerra, quella civile.

Con questa speranza trascorsero gli anni, e poi i decenni, mentre il popolo visse un periodo aureo che andava oltre ogni immaginazione. Si costruirono nuove strade, nuovi ponti. Furono innalzati edifici altissimi, case di ogni fattezza e grandezza. Vennero aperte nuove industrie e furono ristrutturate quelle che durante la guerra avevano subito ingenti danni. Era il paese del dopo guerra. Un paese che si era svegliato eroico e vincente, benché avesse tradito e perso la guerra. Un paese propenso ad andare avanti, senza girarsi mai indietro, incapace di vedere i morti che aveva lasciato alle spalle e con essi la rabbia, la violenza, la coercizione imposta da chi si era schierato dalla parte dei vincitori imbracciando un mitra e passando sul cadavere del proprio fratello. Un paese che non voleva ricordare, che non voleva fare i conti con se stesso.

Nella cecità procurata da quel benessere che sembrava sceso dal cielo come dono divino, la massa non volle pensare, non volle ricordare, né volle chiedersi chi fossero i benefattori che permettevano loro di rinascere proficuamente. C'era la democrazia. E tutti accettarono l'idea che fosse questa a dare benefici, agi, lavoro e ricchezze. Tutto un popolo pensò che fosse questo nuovo dio, importato da oltre oceano, il principale ed unico filantropo.

E così il popolo si adeguò alle volontà del filantropico ideale democratico di stampo americano. Era questo che teneva a bada i comunisti, ma quelli d'oltre frontiera, perché quelli nostrani c'erano e si erano abilmente infiltrati all'interno della democratica civiltà atlantista. Era la democrazia che ci aveva fatto vincere negli ideali, anche se avevamo perso in armi e, non contenti, ci eravamo poi sgozzati tra fratelli.

Ma non ci importata altro che vivere sereni, inebetiti dai fiumi di latte che scorrevano nelle valli incantate della democrazia, dove danzavano le vergini con i seni di miele, che ai nostri occhi splendevano di una bellezza celestiale, vestite con abiti sgargianti e da colori che formavano strisce bianche e rosse, e tante stelle che contornavano le loro splendide e suadenti forme. Altre ancora erano vestite in abiti dai colori azzurri e bianchi, e al centro portavano una grande stella a sei punte. queste ultime erano danzatrici abili e capaci, tanto da riuscire ad incantare non solo quel popolo di straccioni, ma persino le danzatrici a stelle strisce. Ma a nessuno importava quali vestiti avessero e perché fossero li, nobili donne in mezzo ai relitti di una guerra. Era il paradiso terrestre dopo l'inferno. Era il momento delle vacche grasse dopo quelle magre. E tanto bastava.

Creato il giusto ambiente ed i necessari confort, la democrazia mandò gli amanuensi, che con abili capacità descrittive e manipolatrici, riscrissero la storia appena passata. Non arrivarono solo dal paese della democrazia per eccellenza, anzi, molti di costoro vennero reclutati dallo stesso Paese del quale avrebbero dovuto riscrivere la storia. Persone alle quali l'ideale democratico conferì da subito maggiori onori e glorie che, all'atto tangibile, si trasformarono in cospicui conti correnti e pubblica notorietà.

Fu così che il paese conobbe il suo passato, attraverso gli amanuensi pagati dalla democrazia. Si scrissero libri, si produssero film, si eressero persino monumenti a testimonianza di una fazione di combattenti, dimenticando, obnubilando, cancellando la memoria della fazione opposta. Ai primi si dettero tutti i meriti, tutta l'eroicità, tutte le buone intenzioni. Ai secondi venne dato il silenzio, l'annullamento, la cancellazione dalla storia. Per costoro la democrazia coniò una frase indelebile, terribile, ma efficace. Essi facevano parte del "Male Assoluto". Erano stati i combattenti di Satana contro gli arcangeli della democrazia anglo americana e come tali andavano trattati.

Ma al popolo non interessò questo divario forzato, e continuò a vivere nel suo paradiso terrestre artificiale, mentre tutt'intorno iniziavano ad innalzarsi mura sempre più alte e possenti che nel tempo avrebbero portato quel popolo di giullari, mistificatori e ottusi, indietro nel tempo, oltre il medioevo più nero.

La democrazia d'oltralpe stava concedendo tutto a caro prezzo. Un prezzo che quel popolo non avrebbe mai potuto pagare e di cui solo pochi conoscevano la spaventosa entità. Ma quei pochi tacquero e lasciarono che le cose andassero per il loro corso. Nessuno di quelli che furono in grado di conoscere quale nero futuro sarebbe spettato alla nazione parlò. Nessuno di questi si alzò in piedi per avvisare, per mettere in guardia la gente da ciò che sarebbe accaduto. Probabilmente, anche se qualcuno lo avesse fatto, nessuno gli avrebbe dato ascolto. E colui che aveva osato rivelare prima del tempo ciò che solo in seguito sarebbe successo, verosimilmente sarebbe sparito nel nulla, come i morti ammazzati nella guerra civile.

Decenni di bagordi, di gozzoviglie, di orge, di truffe e raggiri, di finanziamenti dal riscatto lontano riempirono oltre mezzo secolo di vita di questo paese che si beava di avere ciò che non possedeva. La guerra era ormai un ricordo lontano per la massa. Ma per gli amanuensi era sempre presente. Dai mitra erano passati alle penne ed ai fogli di carta e le loro parole si erano fatte più distruttrici dei proiettili che avevano sparato mezzo secolo prima.

A loro si aggiunsero le nuove leve, la cui provenienza culturale si fondava sui principi della storia mistificata. Nuovi partigiani pronti a tutto, non più con il fazzoletto rosso al collo perché soppiantati dai capelli rasta, dai "cioè", dagli eschimo. Non più le montagne dove riunirsi, ma i centri sociali, nuovi avamposti di un comunismo mai morto, sempre presente dall'alba della democrazia. Un comunismo sempre più ignorante, incapace di capire i problemi di oggi, così come non era riuscito a capire quelli di ieri.

Tutto in poco più di cinquant'anni, nel corso dei quali quella guerra civile mai sopita, anzi, fomentata dagli amanuensi democratici che tenevano sempre aperto il divario tra le due fazioni, tornò a manifestarsi in forma violenta, cruenta e cinica, soprattutto inattesa. Con il terrorismo il paese democratico tornò ad assaggiare la polvere della sconfitta, che si rivelò ancora più umiliante, perché anche i partecipanti non si accorsero di essere stati manovrati da quella democrazia che, all'inizio, aveva loro sorriso concedendo il paradiso terrestre.

Tutto in poco più di cinquant'anni, fino a quando, un giorno, quel popolo inebetito dalla falsa filantropia delle femmine danzanti, vestite con i loro abiti a stelle e strisce e con la stella a sei punte, si svegliò nel momento stesso in cui le luci che avevano illuminato per decenni il palcoscenico democratico si spensero. E quando si riaccesero, ai loro occhi comparve tutt’altro paesaggio. I fiumi di latte si erano tramutati in torrenti di lacrime in piena. E le mammelle di miele di quelle giovani femmine si erano modificate in armi di tortura di triste memoria medioevale. Le danzatrici non sorridevano più, ma sghignazzavano oscenamente, guardando tutto il popolo in modo truce, malevolo, feroce. E quel popolo continuava a non capire, a non comprendere cosa stesse succedendo. Tentò di ripristinare il vecchio paesaggio pensando che se alla luce vedeva quelle oscenità, forse, nella penombra avrebbe potuto rivedere ancora quel paradiso terrestre a causa del quale erano morte milioni di persone durante una guerra che si era dimenticata nella sua originalità e che aveva lasciato il posto già da tempo a quella confezionata con abile arte mistificatoria dai barbari vincitori. 

Forti di quell'ideale democratico di cui ormai erano pregni, il popolo chiese a gran voce che il palcoscenico tornasse al paesaggio iniziale. Ma ora, quel paesaggio, aveva un prezzo, ancora più salato di quello precedente. Tutta la gente si era già indebitata oltre misura per vivere nel paradiso terrestre artificiale. E ora gli era stato presentato il conto. Un conto che, per saldarlo, non sarebbero bastate le vite di dieci generazioni.

Alla stoltizia, si sa, non c’è limite. E nonostante avesse appreso del grave debito, il popolo non contento chiese la possibilità di dilazionare quel debito gravandolo di interessi purché gli venisse concesso il lusso a cui era abituato. Le danzatrici non aspettavano altro e capirono che, a quel punto, non occorreva più che si nascondessero dietro le false apparenze. Concessero la rateizzazione del debito, con l'aggravante di grossi interessi, e la possibilità di contrarne di altri, a danno delle generazioni future, a danno di un popolo intero, a danno della sua libertà monetaria, finanziaria, economica. Persino a danno della libertà di scegliere se pagare con moneta o con un bonifico bancario.

Le danzatrici erano contente. Avevano ottenuto ciò che la vittoria in armi aveva creato come base iniziale per i loro scopi. Ora potevano mostrarsi nella loro forma reale. E così il popolo infarcito di democrazia potè vedere la metamorfosi, orripilante, oscena, disgustosa e, allo stesso tempo, terrorizzante di quelle splendide figure. Diventarono grosse, grandi, grasse. Le loro facce presero le sembianze dei porci. Nasi schiacciati e piatti, musi allungati che portavano un sorriso misto tra il suino e lo sghignazzante, denti giallastri e putridi accompagnavano i grugniti volgari ed incontrollati che uscivano da quelle gole dalle quali si sprigionava un puzzo insopportabile. La loro pelle era diventata butterata, piena di ispidi e irti peli bianchi. Occhi piccoli chiusi dal grasso degli zigomi guardavano in maniera quasi inumana il popolo sorpreso, terrorizzato, sconvolto.

Ormai era troppo tardi. Nulla poteva essere fatto per quegli straccioni che aveva pensato davvero di aver vinto la guerra, mentre in realtà non solo l’aveva persa, non solo si erano massacrati tra fratelli, ma aveva perduto anche il proprio futuro. Aveva schiavizzato anche la vita dei propri figli e quella dei figli dei loro figli.

I grassi speculatori misero in catene tutti, senza distinzione di sesso, età e religione e li costrinsero ai lavori più umilianti dando in cambio lo stretto necessario per sopravvivere. Ma non contenti, i porci danzanti pensarono di apporre sopra quel poco che concedevano delle tasse, le quali continuarono ad aumentare fino a diventare strozzinaggio.

I porci, poi, obbligarono il popolo intero ad usare i loro forzieri dove mettere quel poco che la gente riusciva ancora a risparmiare. Una volta pieni, i porci vietarono alla popolazione di potersi riprendere ciò che era loro. La forza e la potenza di quei suini era arrivato ad un punto tale che potevano permettersi di dettare legge e di crearne a proprio piacimento.

Ma preferirono non farlo direttamente, perché se vi fosse stata una intermediazione tra popolo e porci, questi ultimi avrebbero potuto avere il capro espiatorio nel caso in cui vi fossero stati problemi nell’accettazione delle leggi emanate. E così i maiali estrassero il 5% della popolazione a cui concessero una vita diversa, fatta di agi ed ozi. E li soprannominarono politici. Da questo 5% estrassero un altro numero di persone a cui attribuirono il titolo di ministro, viceministro, presidente del consiglio presidente della repubblica e tutt’un insieme di nomine che avrebbero costituito quel governo necessario all’emendamento delle leggi in loro favore.

Fu così che si chiuse il cerchio. Ad ogni legge iniqua il popolo si scagliava contro il 5% della popolazione prescelta dal porci. E i porci rimanevano in disparte da ogni disputa, estranei persino alle ribellioni di alcuni coraggiosi che dalle parole erano passati ai fatti per contrastare con forza l’iniquità e l’ingiustizia dei provvedimenti presi da quella piccola percentuale di venduti traditori che si erano messi dalla parte di chi stava affamando la loro gente.

Il tempo passò e di quel popolo non è rimasto che una parvenza di umanità. Oggi si uccidono tra loro per un pezzo di pane, e spesso si scannano sui marciapiedi dove sorgono i palazzi d’oro all’interno dei quali vivono i porci, protetti dai loro cani da guardia e dai gendarmi che  vennero beneficiati tempo prima divenendo protettori di quel 5% preso dalla popolazione.

Oggi, però, i porci sanno bene di non avere più bisogno neanche di quel piccolo gruppo di pidocchiosi che seppe distruggere la propria genia pur di ottenere il potere politico, i beni patrimoniali, le auto di lusso e le puttane d’alto bordo. La feccia che con quel 5% aveva composto quel condensato di meschinità ora risulta inutile. Ora occorrono solo gendarmi e cani da guardia, perché se ancora dovesse esserci qualche sprazzo di ribellione, non necessitano più né emendamenti, né leggi, ma il bastone, la galera e la fucilazione di piazza.

C’era una volta un popolo che non seppe amare se stesso, che fu cieco ed ottuso, che non seppe combattere. Un popolo nato libero che non volle spezzare le catene fabbricate dai porci e che i politici loro servi misero alle caviglie ed ai polsi di tutti. C'era una volta un popolo fiero, che avrebbe potuto combattere nelle forme più adeguate, salvando se stesso ed il proprio futuro, un popolo che avrebbe potuto evitare un'atroce condanna da far espiare ai suoi figli. Ma non fu capace di ribellarsi, non seppe amare se stesso fino al punto di preferire la morte alla schiavitù. Fu stupido e menefreghista, superficiale e disinteressato. Morì, quel popolo, perché al riscatto preferì il martirio dei porci.

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"Noi non siamo, no, dei rivoluzionari sovvertitori. Noi vogliamo che uno Stato forte risorga e per le Leggi comandi!" Cesare Maria De Vecchi, Ottobre 1922

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