Firmato Benito Mussolini

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-Gli articoli storici nei primi anni di direzione-


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Audacia (15 novembre 1914)
In un'epoca di liquidazione generale come la presente, non solo i morti vanno in fretta come pretendeva il poeta, ma i vivi vanno ancor più in fretta dei morti. Attendere, può significare giungere in ritardo e trovarsi dinnanzi all'inesorabile fatto compiuto, che lamentazioni inutili non valgono a cancellare. Se si fosse trattato e si trattasse di una questione di secondaria importanza, non avrei sentito il bisogno, meglio, il «dovere», di creare un giornale: ma, ora, checché si dica dai neutralisti del socialismo conservatore, una questione formidabile sta per essere risolta: i destini del socialismo europeo sono in relazione strettissima coi possibili risultati di questa guerra; disinteressarsene significa staccarsi dalla storia e dalla vita, lavorare per la reazione e non per la Rivoluzione Sociale. Ah no! I socialisti rivoluzionari italiani - sian essi guidati dal raziocinio o sospinti da oscure, ma infallibili intuizioni sentimentali sanno qual è il grido che conviene lanciare al proletariato italiano. La neutralità non può essere un dogma del socialismo. Esisterebbero dunque solo nel socialismo e per giunta, nel socialismo italiano, delle verità «assolute» che possono sfidare impunemente le ingiurie del tempo e le limitazioni dello spazio, come le verità indiscutibili e eterne della rivelazione divina? Ma la verità assoluta attorno alla quale non si può più discutere, che non si può più negare o rinnegare, è la verità morta; peggio, è la verità che uccide. Noi non siamo, noi non vogliamo esser mummie perennemente immobili con la faccia rivolta allo stesso orizzonte, o rinchiuderci tra le siepi anguste della beghinità sovversiva, dove si biascicano meccanicamente le formule corrispondenti alle preci delle religioni professate; ma siamo uomini e uomini vivi che vogliamo dare il nostro contributo, sia pure modesto, alla creazione della storia. Incoerenza? Apostasia? Diserzione? Mai più. Resta a vedersi da quale parte stiano gli incoerenti, gli apostati, i disertori. Lo dirà la storia domani, ma la previsione rientra nell'ambito delle nostre possibilità divinatorie. Se domani ci sarà un po' più di libertà in Europa, un ambiente, quindi, politicamente più adatto allo sviluppo del socialismo, alla formazione delle capacità di classe del proletariato, disertori ed apostati saranno stati tutti coloro che al momento in cui si trattava di agire, si sono neghittosamente tratti in disparte: se domani - invece - la reazione prussiana trionferà sull'Europa e - dopo alla distruzione del Belgio, - col progettato annientamento della Francia - abbasserà il livello della civiltà umana, disertori ed apostati saranno stati tutti coloro che nulla hanno tentato per impedire la catastrofe.

Da questo ferreo dilemma non si esce, ricorrendo alle sottili elucubrazioni degli avvocati d'ufficio della neutralità assoluta o ripetendo un grido di «abbasso» che prima della guerra poteva avere un contenuto e un significato, ma oggi non lo ha più.

Oggi - io lo grido forte - la propaganda antiguerresca è la propaganda della vigliaccheria. Ha fortuna perché vellica ed esaspera l'istinto della conservazione individuale. Ma per ciò stesso è una propaganda anti-rivoluzionaria. La facciano i preti temporalisti e i gesuiti che hanno un interesse materiale e spirituale alla conservazione dell'impero austriaco; la facciano i borghesi, contrabbandieri o meno, che - specie in Italia dimostrano la loro pietosa insufficienza politica e morale; la facciano i monarchici che, specie se insigniti del laticlavio, non sanno rassegnarsi a stracciare il trattato della Triplice che garantiva - oltre alla pace (nel modo che abbiamo visto) - l'esistenza dei troni; codesta coalizione di pacifisti sa bene quello che vuole e noi ci spieghiamo ormai facilmente i motivi che inspirano il suo atteggiamento. Ma noi, socialisti, abbiamo rappresentato - salvo nelle epoche basse del riformismo mercatore e giolittiano - una delle forze «vive» della nuova Italia: vogliamo ora legare il nostro destino a queste forze «morte» in nome di una «pace» che non ci salva oggi dai disastri della guerra e non ci salverà domani da pericoli infinitamente maggiori e in ogni caso non ci salverà dalla vergogna e dallo scherno universale dei popoli che hanno vissuto questa grande tragedia della storia? Vogliamo trascinare la nostra miserabile esistenza alla giornata - beati nello statu quo monarchico e borghese - o vogliamo invece spezzare questa compagine sorda e torbida di intrighi e di viltà? Non potrebbe essere questa la nostra ora? Invece di prepararci a «subire» gli avvenimenti preordinando un alibi scandaloso, non è meglio tentare di dominarli? Il compito di socialisti rivoluzionari non potrebbe essere quello di svegliare le coscienze addormentate delle moltitudini e di gettare palate di calce viva nella faccia ai morti - e son tanti in Italia! - che si ostinano nell'illusione di vivere? Gridare: noi vogliamo la guerra! non potrebbe essere - allo stato dei fatti - molto più rivoluzionario che gridare «abbasso»? Questi interrogativi inquietanti, ai quali, per mio conto, ho risposto, spiegano l'origine e gli scopi del giornale. Questo ch'io compio è un atto d'audacia e non mi nascondo le difficoltà dell'impresa. Sono molte e complesse, ma ho la ferma fiducia di superarle. Non sono solo. Non tutti i miei amici di ieri mi seguiranno; ma molti altri spiriti ribelli si raccoglieranno attorno a me. Farò un giornale indipendente, liberissimo, personale, mio. Ne risponderò solo alla mia coscienza e a nessun altro. Non ho intenzioni aggressive contro il Partito Socialista, o contro gli organi del Partito nel quale intendo di restare, ma sono disposto a battermi contro chiunque tentasse di impedirmi la libera critica di un atteggiamento che ritengo per varie ragioni esiziale agli interessi nazionali e internazionali del Proletariato.

Dei malvagi e degli idioti non mi curo. Restino nel loro fango i primi, crepino nella loro nullità intellettuale gli ultimi. lo cammino! E riprendendo la marcia - dopo la sosta che fu breve - è a voi, giovani d'Italia; giovani delle officine e degli atenei; giovani d'anni e giovani di spirito; giovani che appartenete alla generazione cui il destino ha commesso di «fare» la storia; è a voi che io lancio il mio grido augurale, sicuro che avrà nelle vostre file una vasta risonanza di echi e di simpatie.

Il grido è una parola che io non avrei mai pronunciato in tempi normali, e che innalzo invece forte, a voce spiegata, senza infingimenti, con sicura fede, oggi: una parola paurosa e fascinatrice: guerra!



Benito Mussolini

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I termini del problema (19 Novembre 1914)
Per i socialisti di tutte le scuole, per i socialisti che non si sono fachiricamente e deliberatamente votati alla cecità e alla sordità - schiavi di una formula più pesante di una catena, più rigida e assurda di un dogma - il problema dell'intervento militare dell'Italia, può essere esaminato da un punto di vista nazionale e da un punto di vista internazionale. Fra le due posizioni non v'è antitesi teorica irriducibile; storicamente la diversità è minima, v'è, invece, differenza nell'atteggiamento pratico dei partiti. Per il Governo, per la maggioranza che lo segue, per tutta quella parte di pubblico benpensante che al Governo s'affida per la ragione ripetuta fino alla noia che il Governo possiede tutti gli elementi di fatto ed è in grado quindi di valutare con cognizione di causa una determinata situazione; per tutti costoro l'Italia deve intervenire soltanto per tutelare e difendere i suoi interessi nazionali. Il Governo non ci ha ancor detto quali e dove siano questi interessi: se nell'Adriatico o nel Mediterraneo. Ma l'on. Salandra ha rivelato con una frase lo spirito della neutralità governativa quando ha parlato di un «sacro egoismo» dell'Italia.

Noi, come socialisti, non potremmo patrocinare l'intervento militare dell'Italia soltanto in nome di questo «sacro egoismo». Ciò non significa disinteressamento da parte nostra dei problemi nazionali e della loro soluzione in un senso o nell'altro. 1 socialisti non possono ignorare i problemi nazionali. Non si ignora ciò che esiste e i problemi nazionali esistono e profondi e complessi. Qualche volta sopraffanno i problemi tipicamente di classe e turbano lo svolgimento della lotta di classe. 1 casi del socialismo in Austria-Ungheria, in Polonia e nella Germania stessa, sono noti e significativi. L'antitesi fra i gruppi nazionali si riverbera in seno al Partito, sino a dividerlo in opposte fazioni. Ora un problema «nazionale» italiano esiste anche per noi socialisti. 1 borghesi non comprendono tutta l'importanza di questa nostra ammissione. Tanto peggio! Ma è la borghesia che deve affrontare e risolvere i problemi che rientrano nella sua missione storica e per i quali essa ha creato appositi mezzi, mentre i socialisti non possono ostacolare la soluzione di tali problemi - quelli di nazionalità compresi - anche se perciò si rende necessaria e inevitabile la guerra. Ciò spiega il guerrafondaismo di Marx, la cui effigie barbuta sarà fra poco bruciata dai socialisti italiani. La guerra rappresenta una «utilità» anche per il proletariato quando lo liberi dall'eredità di problemi che esorbitano dalle sue capacità e dal suo compito specifico, di classe. Non opposizione, dunque, alla borghesia dominante, quando essa si proponga di risolvere i problemi nazionali; ma quando essa dimostri di essere pavida e inferiore ai suoi doveri, allora i socialisti e i proletari possono sospingerla e sostituirla. Marx prevedeva tale possibilità quando dichiarava nel manifesto dei comunisti che «i comunisti sono borghesi nei riguardi del feudalismo e rivoluzionari di fronte ai borghesie. Una posizione «borghese» (nazionale) del socialismo è già prevista nel Vangelo marxiano. C'è - inoltre - un precedente storico. 1 socialisti internazionalisti «guerrafondai» del 1871 sostituirono - colla Comune una borghesia repubblicana (i repubblicani del 4 settembre), la quale si era dimostrata incapace di salvare la Francia dall'invasione prussiana. La Comune è stata una rivoluzione in un certo senso «nazionale», patriottica, come avverte Sorel.

Noi ci domandiamo a questo punto, se le classi dominanti italiane la monarchia, il Governo, i ceti conservatori - abbiano la coscienza della loro missione storica. t lecito - dopo quattro lunghissimi mesi di neutralità triplicista - di dubitarne. Ciò spiega, allora, la funzione «nazionale» del socialismo e la campagna «intervenzionista» di una parte notevole del socialismo italiano.

Ma la causa dell'intervento trova la sua giustificazione profonda e inconfutabile quando sia patrocinata da un punto di vista squisitamente socialista e internazionale. Il «sacro egoismo» dell'on. Salandra è una formula che può essere mercantile e conservatrice. Può spingerci ad oriente o ad occidente. Può essere anche la formula dello statu quo e della immobilità. L'intervento dell'Italia ai danni del blocco austro-tedesco, sarebbe, assai probabilmente, la forza nuova che sposta l'equilibrio e mette l'uno dei gruppi belligeranti in condizioni di inferiorità tali da costringerlo a chiedere la pace. La neutralità assoluta è dettata da motivi egoistici profondamente anti-socialisti. Se è necessario che il proletariato italiano rechi il suo sacrificio di sangue per affrettare l'epilogo dell'immensa tragedia che devasta tutta l'Europa, il proletariato socialista italiano non può esitare un solo momento a scegliere la sua strada. Finché dura la guerra tra le nazioni, la lotta - di classe è sospesa. L'interesse supremo del proletariato è che la guerra finisca presto e con tali risultati da garantire un lungo periodo di pace. Se la guerra sarà breve, non è impossibile la ricostituzione - su altre basi - dell'internazionale operaia; ma se la guerra durerà lunghi anni essa apporterà tali rovine o lascerà così tenaci sedimenti di odio nell'animo delle popolazioni e vinte e vittoriose, che ogni tentativo di riordinare le file dell'internazionale sarà condannato miseramente a fallire. D'altra parte l'intervento dell'Italia ridurrebbe la preponderanza della Russia e colla sconfitta degli Hohenzollern aprirebbe un'era nuova di libertà per il popolo tedesco. Se è vero che il militarismo prussiano ha voluto la catastrofe, è interesse e dovere dei socialisti cooperare alla sua distruzione. Colle armi, poiché altro mezzo non v'è.

Dovere di socialisti e dovere di uomini dunque. Lo si cominci a comprendere. La neutralità assoluta del Governo può essere un atto di viltà; quella dei socialisti è una diserzione e un tradimento. Snazionalizzare il proletariato è una colpa, disumanizzarlo è un delitto. La neutralità assoluta è una colpa nei riguardi della nazione; un delitto di fronte al socialismo. Il proletariato italiano non può, non deve isolarsi in questa neutralità pusillanime, degna di gente al disotto della storia; in questa neutralità, che lo esporrà domani all'odio e al disprezzo dei vincitori e dei vinti.


Benito Mussolini

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Chiodi e croci (20 Novembre 1914)
Quei signori escono dalla neutralità. Parlano di croce e di chiodi. Vogliono crocifiggermi e trovano - gli orgogliosi e gli illusi! - che l'impresa sarebbe facile per chiunque. Sbagliano. Ci vorrà una croce di solidissima quercia; ci vorranno altre braccia e altri - soprattutto! cervelli.

Mobilitare tutta la vasta tribù degli scemi non basta. Ce la vedremo. Ma io me l'attendevo. Non mi stupisce. Non mi sorprende. Non mi addolora. Era nei miei calcoli. Figurava nel mio preventivo politico e morale. Non poteva non essere. Sapevo che sarebbero corse le «voci». Non ignoravo che talvolta, per la paura delle «voci», magnifiche iniziative sono cadute. La « voce » che si raccoglie e si fa « correre » è - talvolta la più bassa prova di brigantaggio morale. Ebbene, io ho avuto il coraggio di sfidare i piccoli banditi che non osano affrontarvi colla browning e cercano d'intimorirvi colla «voce». E’ di ieri il processo Magrini. Ma nemmeno la democrazia italiana ha profittato della lezione. Il primo giornale che ha raccolto le «voci», è un giornale democratico. L inutile. La democrazia italiana, mi fa recere. Se non fossi socialista rivoluzionario, la democrazia italiana mi farebbe diventare reazionario. Adorerei De Maistre. Ma ecco l'Avanti! Questo giornale mi tira un colpo di traverso. Il suo attacco è obliquo, sinistro. Faccio noto che la sera precedente mercoledì sera - Costantino Lazzari segretario del Partito, venne a recarmi una specie di ultimatum che ho respinto. Aveva tutta l'aria di un ricatto morale, sotto una veste di generosità non so quanto sentita. Mi aspettavo un attacco in piena regola. Un colpo a fondo. No. Si prendono le cose da lontano. Le sezioni avendo sollecitato l'avanti! a scendere in polemica contro di me, quei signori dell'Avanti! si limitano ad osservare che «sono ignote ed oscure fino ad oggi le fonti alle quali Benito Mussolini ha attinto per la pubblicazione del suo giornale». Si aggiunge che alcuni giornali - sia borghesi che socialisti - avendo fatto la stessa domanda, non hanno avuto risposta. E’ vero. I giornali borghesi sono il democratico Mattino di Bologna e l'austriacante Vittoria di Roma. Quella dell'Avanti! è una compagnia sceltissima. Sono pronto a rispondere oggi e domani. A dimostrare come è nato il giornale, come io sia liberissimo di manifestarvi le mie idee che rimangono e rimarranno socialiste. L'organismo di un'azienda industriale non lo si mette in piazza. L'Avanti! stesso non lo fa, malgrado le sue «fonti chiarissime e pure». Ma io sono disposto - se sarà necessario - a pubblicare - a mortificazione di tutti - la « convenzione » in base alla quale il giornale è sorto.

Nessun altro giornale, né in Italia, né fuori, ha mai «osato» fare altrettanto. Nemmeno l'Humanité di laurès che sorse finanziata da un gruppo di banchieri ebrei, tutt'altro che socialisti. Quanto poi agli uomini e agli organismi coi quali mi sarei unito si tratta di parole grosse... Professionali del giornalismo socialista in Italia difettano. Ci sono dei socialisti redattori di giornali borghesi; nulla di strano se vi sono dei redattori borghesi in un giornale socialista. Borghesi? Storie. Fanno il mestiere. Sono dei tecnici. Del resto, non tutti i redattori dell'Avanti! sono inscritti al Partito. Lo stesso redattore capo si inscrisse al Partito dopo esserne uscito, solo alla vigilia del giorno in cui fu nominato. Vincoli con altri organismi giornalistici non esistono. Un «servizio cumulativo» qualsiasi, non compromette in nessun modo un giornale indipendente, personale, che non deve rispondere di nulla a nessuno, in quanto esprime soltanto le opinioni del mio signor me.

Vecchio gioco! Una discussione di idee rivelerebbe l'insufficienza intellettuale e politica di quei signori. Lo prevedo. Quando vorranno polemizzare con me, mi butteranno in faccia i miei articoli. Essi, non sono, certo, capaci di scriverli. E allora bisogna fare una «questione morale». Un uomo lo si abbatte così: si cerca di abbatterlo così. Capirei che si impostasse la questione dal punto di vista della disciplina. La questione morale, no. E’ un tentativo di assassinio. Tentativo, poiché non riuscirà. Vogliono farmi passare per un venduto? Ebbene, provino. Desiderano la guerra? Ben venga. Ci guarderemo negli occhi. La teoria dei piccoli e grandi uomini sfilerà al cospetto del grande pubblico. Li «esporrò». Sarà la guerra ad armi corte. Vedremo chi morderà la polvere. Non io! Anche se tutti mi abbandonassero, sarò il più forte perché sarò solo. Signori, a voi!


Benito Mussolini

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Ad armi corte (22 novembre 1914)
La Vittoria, austriacante, l'idea Nazionale, nazionalista, il Wolff Bureau, del Kaiser, l'avanti! dei neutralisti italiani. Accordo commovente, sintomatico. Più oltre pubblico una lettera del Giordana e dell'ingegnere Gerli e non sento il bisogno di postillare. L'altro giorno ho parlato chiaro. Chi ha voluto capire, ha capito. Ma ieri, i signori dell'Avanti! mi hanno rinnovato una specie di ridicola pregiudiziale che rivela tutta la loro bassezza. Dovrei chiedere a costoro di rivelarsi, di denudarsi così come faccio io. Preferiscono - e possono avere le loro ragioni buone per farlo - di trincerarsi dietro la ragione sociale della ditta. t un paravento. Ma il loro loyolismo è documentato. Solo Costantino Lazzari firma. Egli non vuole polemizzare però. Pare che ci perda della sua dignità. Comunque, io confermo che il colloquio ch'egli mi chiese, a mezzo del dott. Veratti, e che gli concessi, ebbe la forma e la sostanza di un vero ultimatum. Il Lazzari, in sostanza. mi fece questo discorso: «Tu stai per rovinarti politicamente e moralmente. Domani o dopo noi cominceremo la campagna contro di te. Sono venuto ad avvertirtene. Bada a quello che fai!». lo gli risposi che non accettavo questa specie d'imposizione e di avvertimento minatorio. «Avete dei documenti? Pubblicate. Potete annientarmi? Fatelo». Il Lazzari mi avvertì che non agli accusatori spettava di produrre delle prove, ma all'accusato.

Una strana procedura, una curiosa giustizia quella del neutrale socialismo italiano. Peggiore di quella inquisitoriale. Alla fine io dichiarai alLazzari:«Respingo il tuo ultimatum. Nemmeno i mortai da 42 possono farmi retrocedere ».

E’ chiaro a chiunque - anche a un cretino - che se io avessi accettato l'avvertimento del Lazzari, datomi in quel modo, alla vigilia di una pubblicazione ostile, avrei dimostrato tutta la debolezza della mia posizione politica e morale e mi sarei suicidato. Generosità, quella del Lazzari? Può averne la forma, non certo la sostanza. Il segretario del Partito Socialista mi rinnova la «terribile» domanda. Ora io gli ripeto che sono pronto a soddisfarlo. Nella forma più esauriente. Apro le porte della mia casa, spalanco i miei cassetti, squaderno i miei registri, metto a disposizione tutte le «pezze giustificative» dell'azienda, a quella qualunque commissione di amici o di avversari insospettati e insospettabili che vorrà indagare e riferire.

Costantino Lazzari - proletario del commercio - com'egli si è sempre definito - sa bene che nessuna impresa sottopone il suo meccanismo interiore agli sguardi del pubblico profano. Nemmeno l'avanti!, organo di un Partito, e non organo personale, lo ha fatto e lo può fare. Le relazioni ammannite ai socialisti nei congressi nazionali erano ad usum delphini. L'Avanti! ha i suoi piccoli e grandi segreti come qualsiasi impresa industriale. Non si è mai detta in un congresso - ad esempio la cifra esatta della tiratura per non danneggiare gli «affari» della pubblicità. Ebbene, io posso permettermi quel lusso che è inibito in simili industrie. Provare, cioè, che nulla vi è d'immorale o di scorretto che mi diminuisca nella mia qualità di uomo e di socialista. Ed è profondamente vile e mortificante che la questione morale, il dubbio sulla mia probità sia elevato da questi «puritani» dell'ultima ora; dai miei «compagni» di ieri; è miserabile che la pugnalata alle spalle mi sia vibrata da certe canaglie che pur ieri mi attestavano - mentita o sincera che fosse - la loro stima. Eh già. lo sono un ostacolo che intoppa il placido commercio di quei signori. Impotenti a difendersi su qualsiasi terreno, ricorrono ai sistemi che furono adottati dai gesuiti di tutti i tempi. Calunniare.

Ma stavolta non «resterà» null'altro se non il documento della loro ipocrisia e perversità. Occhio per occhio! Dente per dente! Alle armi corte! Volete sapere come è nato il Popolo d'Italia? Entrate! Ma - per la reciproca - voi dovete fare altrettanto. Mettete in piazza gli affari della Società Editrice dell'Avanti! Esibite la «pratica» - ad es. - per cui il Consigliere Delegato della Società, è diventato ad un tratto assuntore della pubblicità senza sentire qualche incompatibilità fra questa funzione e la sua qualità di dirigente il partito e adesso di condirettore del giornale. Debbo continuare? Ogni ritorsione è legittima, quando qualcuno sta per assassinarvi. Ma è a malincuore che io rimesto questo materiale. Vedrò fin dove giungeranno. Ma intanto quei signori hanno trovato un capo d'accusa che a loro sembra schiacciante: il capitale è... borghese. Heu pudor! Forse che esiste un capitale... proletario? Il capitale non è forse, come avvertiva quel povero diavolo guerrafondaio di Carlo Marx, plusvalore accumulato, cioè un furto continuato ai danni del proletariato? Il capitale perderebbe dunque il suo carattere di «furto», a seconda di chi lo possiede? I «cuponcini» di rendita, le doti matrimoniali, il commercio dei timbri, la compra-vendita di terreni, di case, di merci, non costituirebbero più possesso e circolazione di capitale quando i possessori siano socialisti? Il capitale è borghese, per definizione, anche se chi lo possiede e lo accumula porta accanto ai biglietti da mille, la tessera del Partito socialista italiano. L'amministrazione dell'Avanti! che voleva occupare - nel marzo scorso - tutta la quinta pagina del giornale colla relazione morale e finanziaria del famigerato «Banco di Roma» non pensava che si trattava di capitale... clericale?

Ma basta. Non voglio soffocare. Un grido di liberazione prorompe dalla mia gola. Fa ciò che devi, avvenga che può. Majora premunt!


Benito Mussolini

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Siderurgia e ... neutralità  (23 novembre 1914)
V'è in Italia una categoria di persone, una banda nel senso più brigantesco della parola, priva di scrupoli ed incapace di rimorsi, impudica e audace, che spera di attendere di ritrarre lucro e vantaggi dalla tremenda situazione del Paese, in questa ora straordinaria.

Questa banda che estende in ogni campo le sue ramificazioni malsane ed inquina il giornalismo e minaccia lo stesso Governo è la principale responsabile della impotenza italiana in questo primo periodo di neutralità, perché si deve alla sua opera l'impreparazione militare e navale del paese e la povertà generale della finanza pubblica e dell'economia nazionale.

Il lettore intelligente del Popolo avrà già compreso che io alludo alla banda dei protezionisti ed in specialissimo modo ai signori siderurgici italiani.

Se in Italia la sensibilità della morale politica e collettiva fosse maggiore, a quest'ora i ministri che permisero che l'esercito fosse senza cannoni allo scoppio di una inaudita guerra sarebbero stati già rinviati all'Alta Corte di Giustizia. INvece non solo tutti tacquero, poteri responsabili ed opinione pubblica, del crimine di alto tradimento da quei ministri freddamente commesso, ma il Paese non ebbe neppure il... diciamo così, piacere di apprendere le strane cause per le quali i milioni on tanta generosità largiti per gli armamento non avessero dato il prodotto che legittimamente doveva attendersene. Nessuno disse alto e forte che una delle cause del nostro disarmo, che uno dei motivi per i quali stava l'Italia per precipitare nell'abisso di una nuova servitù, era il protezionismo siderurgico. Oggi vogliamo proclamarlo da questo giornale che vuole la guerra non solo ai nemici esterni8 ma anche ai nemici interni della libertà del popolo italiano. Vogliamo tanto proclamarlo in quanto vediamo che i soliti pennaioli della banda siderurgica osano affermare la fine della battaglia per libero scambio e le pretese ragioni del protezionismo in conseguenza della guerra.

Al 31 dicembre 1913 tre ditte metallurgiche e siderurgiche italiane dovevano consegnare al Governo 92 batterie Dèport. Se avessero serbato fede agl'impegni a quest'ora l'esercito sarebbe stato fornito di artiglierie nuovo modello. Invece al termine prefisso le tre ditte fornitrici presentarono una sola batteria (dico una).

Quando scoppiò la guerra e venne l'interpellanza Monti-Guarnieri a denunciare la gravità delle cose, il Governo diramò una Comunicazione che è documento non so se di sarcasmo o di cinismo.

Il ritardo nella consegna era giustificato con queste parole:" Non devesi dimenticare la soddisfazione di aver organizzato e sviluppato in Italia delle forze durature che troveremo sempre pronte al momento del bisogno". Per il... faceto compilatore di questo documento il momento del bisogno non era ancora venuto e si sentiva soddisfatto (beato lui!) di avere organizzato forze durature ecc.!! Ma si vede chiaramente che i cannoni Dèport furono commessi alle Ditte italiane non per ragioni finanziarie, non per ragioni tecniche o militari, ma unicamente per ragioni protezionistiche, per favorire i costruttori con danno dell'Erario, dell'Esercito, del Paese...

Oggi invece possiamo constatare con amarezza e rimpianto che se i cannoni fossero stati ordinati in Francia, in Germania o in Inghilterra, noi avremmo speso di meno e avuto in tempo debito le più essenziali o costose armi della guerra moderna.

Lungi dal tacere ed isolarsi nel rimorso i protezionisti italiani osano anche oggi affermare che per merito loro possiamo "disporre di un forte organismo militare e navale atto a difendere ed offendere". (Vedi Tribuna del 18 nov. 1914).

Alla vigilia della riapertura della Camera e dell'immancabile dibattito che ne seguirà sulla impreparazione militare o sulla dilapidazione dei miliardi votati per le spese militari, si comprende il tentativo degli accusati di stornare dal loro capo la tempesta, assumendo pose così audaci.

Ma è opportuno da parte nostra riprendere l'aspra rampogna verso il disastroso sistema di politica economica che domina nel paese, individuando le responsabilità dei singoli, denunciando i colpevoli, precipitando gli effetti funesti del regime stesso e i possibili rimedi.

Tutta la nazione è in mano ad una ristretta oligarchia finanziario-industriale che si appoggia principalmente alla siderurgia. Da questa oligarchia dipendono tutte le industrie e in parte l?alta Banca. La istessa principale banca di emissione, la Banca d'Italia è legata bon grè mal grè al trust siderurgico, sicché tutta la vita economica è inquinata e corrotta. L'oligarchia estende i suoi tentacoli in quasi tutti i Gabinetti e quando essi son da lei indipendenti rende loto la vita dura e penosa.

Se si potesse rompere nell'attuale momento questo cerchio di ferro che soffoca la nazione, profittando della guerra e di taluni fatti che ha determinato, si farebbe un'opera sì degna che equivarrebbe ad una battaglia vinta. Con la stessa spesa si avrebbe un armamento di gran lunga più formidabile. Si pensi che secondo i calcoli del Prof. De Viti de Marco, lo Stato come consumatore di ferro, paga al trust siderurgico un sovrapprezzo di circa 50 milioni l'anno, che le dreadnoughts costano a noi, in omaggio alla baldoria protezionista, un terzo di più di quel che non costino alla Gran Bretagna! E si pensi sopratutto al terribile rischio corso, causa il protezionismo, di dover entrare in guerra senza cannoni!

Non sarebbe ora, in questa tragica contingenza, di cambiare mestiere? I giornalisti scritturati dai siderurgici vanno dicendo che il protezionismo ha permesso di avere in Italia l'organismo idoneo alla rifornitura del materiale bellico, non piccolo vantaggio in un momento di guerra quasi universale. Noi rispondiamo che se ciò può esser vero, è vero solo in periodi eccezionali, perché una guerra che impegna tutte le potenze è una cosa straordinaria... Che tuttavia, se ciò dovesse avvenire, non si può pensare a ricorrere eternamente all'industria nazionale, data la pochezza di ferro e che se anche il ferro vi fosse mancherebbero altri elementi essenziali alla guerra: il carbone ed il grano.

L'Italia non può bastare a se stessa. Ma finalmente se anche sia dimostrato necessario avere in Italia delle officine idonee ai rifornimenti militari non c'è alcuna necessità di tenere in piedi con sacrificio immane dell'Erario e dell'economia, un'industria parassitaria, ma è più saggio ed onesto creare delle Acciaierie di Stato. Adamo Smith per primo riconobbe la legittimità di una produzione statale dei materiali da guerra e questa soluzione può suggerirsi anche in Italia, come l'unica che mentre garantisce la creazione e la manutenzione degli strumenti bellici, ci risparmia il dispendio di un protezionismo siderurgico innaturale e rovinoso. E' l'ora di distruggere nella coscienza del paese e nelle istituzioni politiche questa ribalderia senza nome.

Benito Mussolini

Oggi come ieri

"Noi non siamo, no, dei rivoluzionari sovvertitori. Noi vogliamo che uno Stato forte risorga e per le Leggi comandi!" Cesare Maria De Vecchi, Ottobre 1922

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