mercoledì 28 settembre 2011

Il peso delle idee

All’interno dell’Area sono molte le cose per le quali non si è pronti. In particolare non si è pronti, per difetto o per volontà, a sostenere un libero scambio e confronto di idee e punti di vista nuovi, a meno che non siano le solite zuppe propagandistiche riscaldate all’infinito, perché su quelle ci si trova sempre d’accordo.

In un panorama in rete, che appare privo di seri luoghi in cui possa essere permesso di esprimersi fuori dai cliché prestabiliti evitando di suscitare reazioni ostili, questo sito, questo de Il Popolo d’Italia, costituisce veramente un esemplare avamposto di libertà di espressione a cui evidentemente pochissimi sono abituati.

Questa caratteristica, che in una certa misura appartiene anche al giornale in edizione stampata, non è casuale ma deriva dalla diretta e precisa volontà della sua Direzione, per tradizione ed in onore del suo primo direttore, il quale fondo “Il Popolo d’Italia” proprio per potere esprimere liberamente le proprie idee, cosa che gli era stata vietata altrove.

Non è né un trattamento di favore né un privilegio, dato che l’opportunità che è stata concessa al sottoscritto di pubblicare qui i propri scritti, sono certo che non verrebbe negata a nessun altro camerata che volesse fare altrettanto, qualora ne facesse richiesta, anzi credo che questo sia già avvenuto in molte occasioni. Come so per certo che le pagine de Il Popolo d’Italia sono sempre state messe a disposizione dei movimenti facenti parte dell’Area.

Tengo a sottolineare che questi contributi al giornale, ciò che per me è stato semplicemente un onore, hanno sempre ricevuto in risposta i graditi ringraziamenti della Direzione e non certo critiche od opposizioni. Di questo non posso che essere enormemente grato a mia volta.

Tuttavia questo è il mio ultimo scritto che apparirà nelle pagine del sito de Il Popolo d’Italia.

Il perché di questa decisione è semplice: la libertà non è tutto, o meglio, come si intende la libertà fascista, essa non è un fine ma è solo un mezzo utile per raggiungere un qualunque progresso, sia strettamente personale che indirizzato al bene comune; conseguentemente, se con l’esercizio di una libertà, non si raggiunge il fine prefissato, risulta naturalmente inutile continuare a farne uso, dato che questo si trasformerebbe in un abuso fine a sé stesso.

L’abuso di cui parlo non è stato sancito da parole dette o scritte da chicchessia ma è una semplice sensazione e di solito l’istinto non mi tradisce. In altre parole ho la sensazione, ed è anche un timore, che la libertà di usare lo spazio che mi viene concesso per esporre le mie idee, possa generare situazioni di disagio o di imbarazzo, se non qualcosa di più, in chi di tale spazio detiene la proprietà ed è anche politicamente impegnato. In aggiunta, non ho mai avuto l’impressione che i miei modesti contributi abbiano giovato in qualche modo al bene ed alla causa comune, quindi verrebbe meno anche l’utilità.

E forse, da quanto vediamo, una vera causa comune nemmeno esiste, come non esiste un fascismo per il quale combattere. Sarebbe più giusto parlare di cause individuali e di tanti fascismi quanti sono i fascisti. Ma questa è un’altra questione sulla quale ho scritto fino alla nausea (anche mia…). Una cosa è certa: non voglio continuare oltre a sostenere il mio fascismo e la mia causa personali davanti alla ceca ottusità altrui.

Non nascondo che pesano molto la delusione e lo sconforto senza fine rispetto allo (s)fascismo imperante, molto peggiore di qualunque antifascismo.

Ma non solo…vi è di più: vi sono schiere di rapaci esaltati ed opportunisti che vivono sul momento, potendo essere oggi gli amici, domani i nemici pronti a tutto, anche a colpire un giornale libero ed indipendente solo per bersagliare l’avversario politico a cui lo stesso appartiene. Stante una simile logica, è un attimo che con uno scritto si finisca involontariamente col fornire il pretesto per critiche ed attacchi e non credo che valga la pena arrivare a sperimentare simili situazioni.

Naturalmente potrei anche sbagliarmi del tutto ma credo che sarebbe meglio se i miei pensieri rimanessero relegati negli intimi confini del mio blog, ove solo io potrei eventualmente rispondere di eresia o lesa maestà, senza rischiare di coinvolgere altre persone.

Certo potrei anche scegliere di uniformarmi al pensiero unico del fascismo “trinariciuto”.

Potrei, ma non vedo a chi o a cosa gioverebbe.

Quindi, grazie a Il Popolo d’Italia e a chi finora ha avuto la pazienza di leggermi.


10 commenti:

  1. Fermo rimanendo il concetto secondo il quale la libertà di un individuo è sacra, va detto anche che rimaniamo quanto meno sorpresi dalle motivazioni che hanno indotto l'articolista a dare l'addio alla testata.

    Come è stato giustamente ricordato, abbiamo sempre detto che lo spazio di questo giornale era aperto a tutti. Paradossalmente lo avremmo dato anche ai centri sociali se questi l'avessero chiesto, nonostante le loro censure nei nostri confronti che dura da oltre 70 anni. La cosiddetta area, ha sempre saputo di questa possibilità. Ma è stata sempre troppo intenta a sputarsi in faccia da sola, a scannarsi tra gnomi, a ridicolizzarsi in tentativi di golpe per l'acquisizione del nulla.

    L'articolista in questione ha descritto più volte un chiaro quadro della situazione in cui versa la nostra politica, e noi lo abbiamo sempre condiviso.

    Apprendere ora dell'abbandono della testata ci lascia esterrefatti, non perché non potremo più avvalerci degli articoli di chi ci sta salutando, ma perché, conoscendo la persona attraverso i suoi scritti, la ritenevamo forte e fiera nei suoi ideali. Proprio in momenti come questi, dove lo sfaldamento dell'ideologia insieme alla disgregazione di movimenti e confederazioni del nostro ambiente, aumenta vertiginosamente, adesso che è il momento di serrare i ranghi, avviene l'abbandono.

    Assistiamo, sconcertati, ad una resa totale di fronte al nemico, alla genuflessione che immola il perdente ad essere tale e il vincitore ad avere persino l'onore delle armi.

    Noi avremmo voluto, invece, che in questo momento di sciagura, di caduta verticale dell'etica, della morale e dei sani principi che da sempre hanno differenziato l'essere umano dall'animale, vi fosse stata la fermezza e la sicurezza di coloro che hanno sempre creduto in determinati principi.
    ...continua

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  2. E' in questi momenti che occorre serrare i ranghi e dare forza alle idee. E' proprio adesso che c'e' bisogno di dimostrare quanto si vale e quanto valgono gl ideali nei quali si è sempre creduto. E sono le occasioni come queste che dividono i perdenti dai puri di spirito, perchè i primi lasciano il loro posto dicendo che tutto e perduto, i secondi si immolano in nome delle loro idee.

    Per questa testata è impensabile un atto di resa. Noi non ci metteremo mai affacciati alla finestra per guardare con sconforto e rassegnazione le divisioni del nemico marciare sotto casa nostra.

    E vorremo che con noi ci fossero i camerati di sempre, quelli che ci hanno aiutato, che hanno combattuto insieme a noi, che hanno espresso con fermezza e durezza le loro opinioni e che, soprattutto, hanno creduto fermamente nei principi per i quali hanno lasciato diverse testimonianze scritte.

    Non bisogna arrendersi. Ora è il tempo di combattere con ferocia, con astuzia e con fermezza. Se non lo facciamo, allora c'e' da chiedersi con quale diritto abbiamo criticato coloro che, prima di noi, si sono comportati allo stesso modo. Arrendendoci faremmo parte di quella critica e saremmo peggiori di coloro che abbiamo criticato.

    Ora è tempo di combattere e non solo con le parole. Dovesse voltare al peggio la situazione, dovremo essere pronti a farlo anche in altri modi. E' questo che ci deve differenziare dalla massa urlante, dalla canea che sgomita all'interno della cosiddetta "area". Noi non ci riteniamo migliori di chi ama vivere politicamente in quel carnaio informe, ma certamente sappiamo di essere diversi. E la diversità sta proprio qui, nel rimanere fermi al proprio posto, per amore dei nostri ideali, dei nostri principi e per noi stessi. Abbandonare vuol dire lasciare campo libero al nemico, una responsabilità che non possiamo permetterci di avere nella storia della nostra nazione.

    La Direzione

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  3. Nella risposta della Direzione ci può stare la sorpresa, molto meno tutta questa sconcertata incomprensione.
    Non è scritto da nessuna parte, men che meno nel mio intervento, che l’”articolista” e la Direzione del giornale debbano avere esattamente le stesse idee e che questa sia la condizione per poter collaborare.
    E’ comunque vero che esiste una sostanziale condivisione della analisi politica interna all’Area ed in generale per ciò che riguarda la Nazione, tuttavia le condivisioni si fermano qui e non proseguono sul piano delle azioni politiche. Se due medici visitano un paziente e si trovano d’accordo nella diagnosi della malattia ma non sulla cura da somministrare, è chiaro che i due potranno dirsi d’accordo solo fino ad un certo punto. Finora l’unica persona di mia conoscenza che ha espresso pubblicamente le mie stesse idee e le ha sostenute, quella sono io e non ne conosco altre. Tutto questo va specificato solo per amore di verità, in quanto, lo sottolineo, rispetto al rapporto con la Direzione, questa constatazione non costituisce e non ha mai costituito un problema.
    Vengo accusato di resa totale e di genuflessione davanti al nemico, con me che ero forte e fiero e che d’improvviso non lo sono più. Ne prendo atto e me lo segno. Mi si consenta però di far notare che sono state ignorate le motivazioni espresse nel mio intervento e si è invece spostata la discussione su un piano non pertinente. Riprovo a spiegare meglio, sperando di essere stato poco chiaro in precedenza.
    La questione è questa: nella opposizione al sistema antifascista non potrei mai stancarmi di lanciare filippiche quotidiane, e fin qui tutto bene; ciò che mi fa andare fuori di testa e che da anni constato, è che quella contro il sistema è l’unica attività che rende agli pseudo fascisti di ogni genere, famiglia, ordine e grado la sola ragione per esistere e che oltre questo orizzonte non si vuole andare, ancor prima di esserne incapaci.
    Allora, se la mia idea, espressa da tempo ed in salse diverse, è che il Fascismo deve concentrarsi su sé stesso, deve riunire a tutti i costi il proprio patrimonio umano, deve spogliarsi delle mille insegne, deve identificarsi politicamente in senso univoco, unitario e monolitico, deve ricostruire le proprie basi dottrinali ed ideali e deve vedere tutti i protagonisti autoimporsi una nuova esemplare disciplina imperniata sulla modestia e sul cameratismo; se questa è la mia idea e in tutto questo tempo non ha mai ricevuto da nessuno nemmeno un parere negativo ma solo silenzi, elusioni e prese per culo, allora io sento tutto il diritto di poter dire che mi sono frantumato le gonadi di continuare a ululare alla Luna. Caspita! Non pretendo dibattiti ufficiali, non pretendo che i grandi professoroni e gli immortali guerrieri delle notti di piombo sposino improvvisamente questa ottica diversa e ne diano annuncio a tutto il mondo come fosse la “buona novella”. Mi sarebbe bastato sentirmi dire che la cosa ha un senso e che sarebbe giusto discuterne e proporla nei diversi ambiti oppure che trattasi di una emerita fregnaccia, immeritevole di qualunque attenzione. Al massimo mi è stato risposto da più parti qualcosa del tipo: “Io ho avanzato una proposta del genere ma nessuno si è mostrato favorevole, quindi escludo una riproposizione”; al che mi sono chiesto: come mai vi è più di qualcuno che sostiene di essere stato quell’unico a fare a tutti gli altri una tale proposta e non becco mai uno di quelli che l’ha rifiutata? La verità è un’altra e cioè che questo non è mai accaduto. Bene che sia andata, in passato si è parlato delle solite formule consociative, i soliti patti federativi, i soliti cartelli elettoralistici, insomma tutte quelle modalità studiate apposta per continuare a restare divisi e per mandarsi a quel paese alla prima occasione utile, come purtroppo anche le cronache degli ultimi giorni hanno dimostrato una volta di più.
    continua...

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  4. Se resto fermo su questo promontorio e da qui non mi muovo, nessuno può accusarmi di nulla, in quanto questo è l’atteggiamento di tutti, nessuno escluso. Ma, a differenza di tutti gli altri, io non cerco di difendere il mio particolare movimento (mai aderito ad alcuno in vita mia e mai lo farò) né tantomeno mi sogno di fondarne uno personale né minaccio o mi azzuffo con altri camerati; a differenza di tutti gli altri io sono semplicemente fascista e voglio stare con tutti i fascisti nel movimento unico del fascismo italiano. Altre pulsioni non sento.
    Se il mio intervento fosse stato letto con maggiore attenzione e minore sconcerto, si sarebbe capito che la mia rinuncia non è nei confronti dei miei ideali, quanto nei confronti di una platea fascista che, per quanto variegata, si mostra invece assolutamente compatta nella indifferenza, se non nella più totale insensibilità verso “certe” tematiche, oppure viceversa, si sarebbe compreso che tale scelta è frutto della evidente inadeguatezza dello stesso “articolista” nei confronti dei lettori de Il Popolo d’Italia e che sarebbe più giusto continuare a proporre certe idee solo in un ambito personale. Se poi interpreto bene un preciso passaggio nella risposta della Direzione, si palesa la conferma che i miei scritti non abbiano mai goduto di un reale apprezzamento, cosa che non fatico a comprendere peraltro, essendo un mediocre scrittore tanto nella forma che nella sostanza (evidentemente). Più che altro viene spontaneo pensare che il rammarico della Direzione è più sul piano dell’allontanamento di una comparsa, data la penuria di vocazioni. Ma tutto ciò ha una importanza molto relativa.
    Infine non appare pertinente l’esortazione che la Direzione fa a serrare i ranghi, a fare quadrato contro i nemici, a difendere l’ideale dalla disgregazione generale, prendendo spunto dalla decisione dell’”articolista” di non continuare a pubblicare qui i propri scritti e dopo aver bollato questa presa di posizione come un atto di viltà e, tra le righe, forse anche di tradimento.
    Ma anche su questa esortazione avrei da dire qualcosa. La retorica è una forma espressiva spesso di grande efficacia ed utilità ma quando è vuota, cioè quando esalta l’inesistente o il precario, rischia di apparire ridicola e certamente fuori luogo. Tutti, nessuno escluso, invocano la lotta serrata e senza quartiere verso il sistema e verso i nemici della propria fazione, invocano le difesa di questo e la difesa di quello, di tirare dritto verso la propria strada ed altre banalità simili che suonerebbero con forza e convincimento se non fosse che concretamente non vi è nulla difendere, se non il proprio particolare, e nessuna strada da seguire se non quella del fallimento totale garantito. Come i fatti, tra l’altro, dimostrano senza soluzione di continuità.
    Vogliamo difendere il fascismo e per esso immolarci? Allora rifondiamolo politicamente, perché la sola Idea, prima ancora che insufficiente, si sta rivelando fonte ed oggetto di “massacri” e “distruzioni”.
    Se dunque, noi siamo per un fascismo, all’interno del quale possono coesistere varie anime, dove una può essere maggioritaria rispetto ad altre al punto da costituirne la guida politica, qualcuno per favore ci spieghi cosa intende fare e proporre per conseguire questo obiettivo. Se questo qualcuno c’è, proponga un progetto politico forte e deciso rivolto a tutti, perché non sarà importante la reazione di questo o quel movimento, di questo o quel ducetto, ma la reazione dei singoli fascisti.
    Se bisogna combattere, non si deve farlo per il nulla e l’indefinito, ma per un obiettivo che non sia intorno a noi ma molto, molto al di sopra di noi.
    Se qualcosa del genere avverrà, a quel punto l’articolista dimissionario in questione sarà pronto a prestare nuovamente la propria opera e anche molto di più.

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  5. Temevamo fraintendimenti con la nostra risposta, e immancabilmente sono arrivati con una puntualità svizzera. La questione non verte sul personale, ci mancherebbe altro, né abbiamo voluto accusare qualcuno di tradimento o di viltà. Abbiamo solo detto che quando si crede in un’idea, fosse anche personalissima ma di possibile attuazione all’interno di un gruppo, di un movimento o di una associazione di bocciofila, va perseguita senza indietreggiare, senza mai abbandonarla e senza gettare la spugna.
    Questi sono i comportamenti che noi abbiamo sempre avuto. E abbiamo dato prova di essere coerenti con tali concetti proprio con il nostro giornale. Nonostante la scarsità degli abbonati, dovuta ad una mancanza di pubblicità sul territorio nazionale per l’eccessività dei costi, abbiamo continuato ugualmente ad uscire ogni mese dal 1998 ad oggi senza saltare un solo numero. Una coerenza che ci è costato sacrificio economico ad ogni numero, partendo dalla data di riesumazione del giornale fino ai giorni nostri.
    Le nostre idee ci sono costate non solo le gonadi ma anche diverse decine di migliaia di euro. Soldi, i nostri, che non sono stati rimborsati neanche dai finanziamenti all’editoria, benché ci siano state le solite male lingue che non si sono risparmiate nell’asserire il contrario.
    Era questo ciò che intendevamo dire senza accusare nessuno di resa, genuflessione o vigliaccheria. Certo è che se si estrapolano dal contesto di un discorso solo alcune frasi, queste prendono un significato ben diverso, e a volte opposto al senso originale del contenuto.
    L’articolista parla di unificazione dell’ambiente fascista, di cancellazione dei movimenti per crearne uno solo, grande, capiente e genuinamente fascista. Propone non alleanze, ma una compattazione totale, estrema e definitiva. Una proposta, la sua, che non farebbe una piega se non si scontrasse con la realtà, ovvero con una situazione di continui conflitti, invidie, rancori, scippi di tesserati e via di questo passo.
    L’evoluzione politica che l’articolista vorrebbe non è cosa che si crea in 24 ore. Occorrono anni di prove, di proposte, di tentativi, di fallimenti e delusioni e di piccoli passi verso l’obiettivo. E probabilmente occorre anche che si estingua una generazione di pseudo fascisti, sperando che la successiva sia migliore di quella precedente.
    La nostra sorpresa non si è manifestata nell’apprendere il fallimento del progetto di unificazione dei movimenti esistenti, ma per l’abbandono dell’idea in se. Ci siamo sorpresi per la reazione avuta:“Mi sono sgolato, nessuno mi ha ascoltato, allora me ne vado e lascio tutto”. Certo, può essere una soluzione, ma riteniamo sia la peggiore.
    ...continua

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  6. Meglio sarebbe riflettere e capire perché non ha attecchito il proprio pensiero. Meglio sarebbe evolvere le proprie vedute modificandole o cercando un’altra strada per il loro conseguimento. Meglio sarebbe tastare il polso in modo diverso di questo nostro mondo caotico, contorto e facilmente irritabile piuttosto che abbandonare il campo voltando le spalle.
    In sostanza, la nostra replica non si basava su una condanna ma sull’esortazione a continuare la lotta in favore delle proprie idee, dei propri principi, e anche della propria evoluzione. Crediamo che nessuno, al momento, abbia la soluzione in tasca dei problemi che ci attanagliano da decine di anni. Non è con il grido al “volemose bene” che possiamo cancellare anni di demagogia, distruzione delle idee e manipolazione storica.
    Quello che l’articolista propone è il fine, la meta. Ma ciò che l’articolista non valuta è che per arrivare a quella meta occorre percorrere una strada di cui non si conoscono gli ostacoli, i pericoli e neanche la lunghezza. E’ da ingenui pensare che bastino dieci articoli, un foglio di giornale e un paio di blog dove scrivere le proprie risoluzioni. Ciò che si vuole affrontare è qualcosa di enorme, tenuto vivo e vegeto da chi ha ancora interesse a frammentare le nostre fila. Forse se si iniziasse con il prendere di mira i potenziali – e probabili - responsabili dell’atomizzazione della nostra cosiddetta area, (personaggi del passato e del presente), si sposterebbe il campo di battaglia su un altro piano e dal fallimento di una proposta si passerebbe ad un contrattacco diretto e più incisivo.
    Ma per questo tipo di combattimento occorrono la costanza e la fermezza in ciò che si crede e magari anche l’idea di essere pronti a modificare se non la meta, almeno il percorso da compiere.
    Infine, e concludiamo, si cita il fascismo quale ideale puro, retto, incrollabile. E fin qui siamo d’accordo. Ma non si spiega come possa accadere che proprio colui che dà la giusta visione del vero fascismo, e che bolla tutti coloro che non si attengono a quei principi come non fascisti, levi le tende e mandi al macero gli stessi principi da lui evocati. E qui torniamo al nostro discorso sulla “critica” verso terzi. Una critica che può avere solide basi solo se ci si dimostra diversi. Ma se, alla fine, cadiamo negli stessi errori dei criticati, allora quale differenza ci potrebbe mai essere tra chi non ha mai seguito determinati principi e chi li abbandona?
    La Direzione

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  7. I fraintendimenti arrivano puntuali quando puntualmente ci si esprime fuori misura e con scarso riguardo verso l’interlocutore. Ma mettiamo da parte i fraintendimenti elvetici e le relative rettifiche.
    La controreplica della Direzione è illuminante rispetto alla individuazione della verità e ci chiarifica una volta per tutte il reale atteggiamento verso il problema politico che il sottoscritto pone, al di fuori di ogni infingimento. La risposta ricevuta è il genere di risposta elusiva e fuorviante a cui ho fatto riferimento nel mio primo commento. Ora ne abbiamo una dimostrazione scritta.
    Innanzitutto la Direzione non esprime alcun parere preciso sulla validità di quanto è stato proposto e non lo ha mai fatto. Si limita a dilungarsi su una serie di ostacoli e difficoltà che ne impedirebbero l’attuazione, cercando di far passare l’idea che siano questi impedimenti a dissuadere chiunque anche solo ad esprimersi a favore e che ciò dovrebbe essere sufficiente per farmi capire che è il caso di cambiare strada. In buona sostanza si avanza l’ipotesi che prima ci si debba accertare sulla facilità di raggiungere l’obiettivo e solo poi si possa far sapere al mondo se si è favorevoli o contrari. Ma in realtà questo ragionamento illogico è una forzatura che nasce dalla impossibilità di ammettere l’inammissibile.
    E se la logica non è morta con Aristotele ed i poli magnetici della Terra non si sono invertiti nel giro di una notte, in un ragionamento che fluisca in modo naturale, una volta proposta una meta da raggiungere, prima vanno verificate le intenzioni dei soggetti interessati e solo dopo si prendono in esame le possibili difficoltà e quindi si comincia a lavorare per superarle. Allo stato attuale ciò che manca da parte di tutti è proprio la volontà di raggiungere l’unità fascista. Lo scopo di ogni movimento dell’Area è divenuto chiaro da molto tempo: mantenere uno stato di guerra interna perpetua, nella illusione che alla fine ne resti solo uno in piedi, e che questi possa ergersi al movimento unico del fascismo. Questa è la strategia di tutti, compresa la Direzione di questo giornale che, come si sa, è anche dirigenza di uno dei tanti movimenti in questione.
    A qualunque essere pensante è chiaro ed evidente che la proposta del sottoscritto è l’esatto contrario di quanto viene accanitamente perseguito da tutti i movimenti (s)fascisti e che la sua proposizione è ed è sempre avvenuta in assoluta solitudine. E ciò che la Direzione si ostina a non volere comprendere è che questo “articolista” non ha mai voluto e mai vorrà essere parte di questa guerra.
    Questa illusione mortale ha paralizzato tutti in uno stato di fallimento e di immobilismo perpetuo entro il quale tutti e tutto verranno dissolti in brevissimo tempo.
    Ciò assomiglia moltissimo a quanto è accaduto sulla sperduta Isola di Pasqua, dove per anni le varie tribù si sono lanciate in una competizione assurda, disboscando completamente l’isola per utilizzare il legname utile alla erezione delle enormi statue di pietra; reciso l’ultimo albero, è cominciata una crescente carestia che ha portato tutti all’ultimo atto verso l’estinzione: il cannibalismo.
    Ora è sancito dai fatti che certe idee sono avversate da tutti e sono stati chiariti i motivi per cui ciò avviene. Le idee, come ci è stato insegnato, non vanno mai abbandonate e su questo siamo d’accordo. Allora, non ci resta che sperare nell’avvento di qualche cambiamento che possa indurre a riproporle.

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  8. Crediamo di essere arrivati alla fine di questo inutile confronto. Se si cercano forzati capi d’accusa e se ci si cimenta nel ruolo di giudice popolare per emanare sentenze al fine di giustificare il fallimento delle proprie proposte, vuol dire che i termini per un confronto non esistono più o che, comunque, si sono esauriti. L’articolista ha una certa difficoltà nel comprendere che una cosa è lavorare ad una testata giornalistica con la quale si è data sempre a tutti l’opportunità di esprimere le proprie opinioni e proposte - anche diverse e contrastanti tra loro - ed altra cosa è gestire un movimento politico dove le opinioni e le proposte non possono essere contraddittorie, pena il decadimento della linea politica. Pertanto, se il discorso verte su un piano strettamente giornalistico, come del resto dovrebbe essere, non è data a questa testata il compito di schierarsi pro o contro le varie proposte. Questa direzione, caso mai, può e deve renderle pubbliche. E’ il lettore che ha il diritto di dare il proprio giudizio sulla validità di quanto prospettato. Se non adottassimo questa regola anche Il Popolo d’Italia si allineerebbe a tutte le altre testate che, invece di diffondere l’informazione, manipolano subdolamente l’intelligenza dei propri lettori incanalandoli verso scelte preconfezionate precedentemente dalle direzioni dei giornali. Ora, che l’articolista tenti di unificare la testata di questo giornale ad un movimento politico per il fatto che il direttore de “Il Popolo d’Italia” è anche il segretario del Nuovo Ordine Nazionale, non onora, né gratifica la coscienza di chi si espone a questo tentativo maldestro di mescolanza delle carte. A questo punto ci sarebbe da chiedersi se, fino ad oggi, gli scritti che ci sono pervenuti dall’interessato erano diretti alla direzione di questo giornale o alla segreteria del movimento politico perché ci pare di capire che da un articolo giornalistico spedito ad una testata si pretendeva una risposta politica da un movimento. Probabilmente c’e’ stato un errore di indirizzo o una confusione di intenti. Questa direzione ha lottato sin dall’inizio affinché il giornale non divenisse un organo di informazione interna di un movimento. E non lo ha fatto solo quando il direttore è divenuto segretario del Nuovo Ordine Nazionale, ma già prima, quando era segretario del Movimento Fascismo e Libertà. Adesso, per ragioni di puro opportunismo, si vorrebbero cancellare queste prerogative che, non solo sono state da sempre alle base del nostro impegno giornalistico, ma che sono state sempre rispettate anche nei momenti in cui le nostre pagine avrebbero potuto danneggiare seriamente l’immagine di movimenti e persone con rivelazioni sorprendenti, ma che avrebbero avuto il carattere dell’inciucio e della vendetta personale. E già il fatto che questa Direzione debba essere costretta a difendersi da accuse pretestuose e mistificatrici lascia capire palesemente la decadenza del dialogo e l’inesistenza di una qualsiasi volontà di chiarimento. In sostanza pare che chi non accetti la proposta dell’articolista, giusta o sbagliata che sia, diventi l’eretico per eccellenza. Questi atteggiamenti fanno cadere nel campo dell’inutilità qualunque progetto, perché se a questi non segue quel senso di umiltà a cui si dovrebbe fare sempre capo e se non vi è la volontà di ascoltare anche i pareri altrui, allora il progetto diventa imposizione e la mancanza d’umiltà viene riempito dalla protervia di chi pensa di detenere la divina risoluzione a problemi che necessitano di studi più profondi e diretti. In effetti, chi propone dovrebbe avere una giusta cognizione di causa affinché ciò che prospetta possa avere una valenza. Ciò vuol dire che al suo attivo ci dovrebbe essere quel bagaglio di esperienza che solo una militanza può dare e che solo la presenza su strada, il mettersi in gioco, il rischiare personalmente, fuori dalle pareti domestiche protettive, possono produrre. Il nostro tempo non ha bisogno di altri filosofi che con carta e penna redigono il futuro dell’umanità.
    ...continua

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  9. Il nostro tempo ha bisogno di condottieri pronti a sanguinare, e non per forza del proprio sangue, perché siano creduti. Noi lo facciamo. Ci mettiamo in gioco quotidianamente. Il giornale è pubblico e viene divulgato anche oltre confine. Ciò che scriviamo arriva sotto gli occhi di diversi camerati, ma anche di coloro che prendono il nostro nome e lo trascrivono sul registro degli indagati o sulle liste di proscrizione giudaiche. E ci fermiamo al campo giornalistico, perché se dovessimo aprire il capitolo politico andremmo molto oltre. Concludendo, come abbiamo già specificato all’inizio, riteniamo che non sussistano più motivi validi per continuare questo confronto ormai arrivato ad un livello talmente basso da non lasciare alcun spazio ad una qualsiasi espressione di pensiero sul tema principale. Constatiamo con sconforto che il vizio di attaccare sul personale è cosa che ha contaminato anche chi si è tenuto ben lontano da qualsiasi ambiente politico. Ciononostante le nostre pagine continuano a rimanere aperte a chiunque voglia proporre le proprie idee o scrivere i propri punto di vista, anche se abbiamo notato che molti detentori di verità assolute si sentono affaticati persino quando devono scrivere le proprie idee, sempre che non sia la paura la vera ragione che li paralizza. Da parte nostra inutili ulteriori repliche.
    La Direzione

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  10. Per quanto mi riguarda può bastare. Fortunatamente resta tutto scritto ed il lettore può comprendere come stanno veramente le cose, al di là di ogni tentativo di mistificazione, compreso l'ultimo sforzo di menare alla cieca. Evito di rispondere a tono, e con un tono che prima di tutto non piacerebbe a me, perchè queste pagine non lo meritano e non lo merita il nome de Il Popolo d'Italia. E' finita come sapevo già che sarebbe finita, conoscendo le modalità con le quali il mio interlocutore è abituato a confrontarsi ma non ho voluto per questo nè sottrarmi alla discussione nè evitare di dire ciò che penso, anche se in questo momento ometto scientemente di approfondire certi aspetti, molti dei quali taciuti per carità cristiana, e ribattere lungamente su argomenti assurdi o inesistenti. Decido di non lasciare spazio al livore, di non abbandonarmi alla reazione che sarebbe dovuta. Evitiamo così tutta un'altra serie di "fraintendimenti" che in realtà sono vere e proprie accuse ed ingiurie. Il mio grande rammarico è che ciò sia venuto da una persona che ho stimato. Purtroppo, con tutta evidenza, lunghi anni passati a difendersi ed ad attaccare rabbiosamente nemici di ogni genere, possono finire per modificare profondamente l'equilibrio anche di persone che hanno delle qualità e cattive non sono ma fanno sempre più fatica a sostenere i rapporti umani sul piano della decenza e del rispetto.

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Oggi come ieri

"Noi non siamo, no, dei rivoluzionari sovvertitori. Noi vogliamo che uno Stato forte risorga e per le Leggi comandi!" Cesare Maria De Vecchi, Ottobre 1922

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