giovedì 13 giugno 2013

Napolitano bis e governo di larghe intese.


Editoriale di Maggio



Dopo mesi di tira e molla, di candidature presentate all’ultimo momento, di ripensamenti da parte di chi aveva detto che si sarebbe ritirato. Dopo una serie di interventi politici volti agli interesi dei partiti, e lontani da quelli degli italiani, di colpo, in 36 ore, tutti i dubbi si sono dissipati.

E’ stato eletto il Capo dello Stato ed è stato composto il nuovo governo che dovrà guidare l’Italia per i prossimi cinque anni, salvo imprevisti.
Il quartier generale del potere, oltre a non cambiare palazzo, non ha cambiato neanche gli uomini. Il quasi novantenne Giorgio Napolitano si è ricandidato nonostante avesse dichiarato pochi mesi prima di non averne alcuna intenzione. Un Capo di Stato vecchio quanto il partito comunista a cui deve onori e glorie, ed anche qualche umiliazione, come quella data dagli ungheresi che hanno fatto sapere di non gradire la sua presenza nella loro patria martirizzata dai carri armati di Stalin tanto osannati dall’allora giovane e fervente comunista Napolitano.Prima di lui si sono alternati nomi provenienti da diverse esperienze politiche, alcuni noti, altri raccapriccianti come Prodi e Amato, due personaggi della vita pubblica che hanno inferto duri colpi all’economia italiana. Il primo per la consapevole svalutazione che la lira avrebbe avuto entrando nell’Euro. Il secondo per il depredamento del 6x1000 sui conti correnti degli italiani. Poi Emma Bonino e Dario Fo. La prima ricordata per gli aborti clandestini e fuori legge, il secondo per il rinnegamento del suo passato con tanto di riabilitazione alla corte della sinistra italiana.Basterebbero questi nomi per girare le spalle sdegnati e guardare verso orizzonti più puliti e più salubri. Grillo, con le sue proposte, non è stato da meno rispetto allo sconvolgente scenario apocalittico presentato con i dieci candidati. Anzi, tre dei quattro candidati citati facevano parte proprio della decade presentata da Grillo per il Quirinale. Dieci candidati, dieci saggi. Un numero che ultimamente ricorre spesso in questa Italia sempre più in balia dei poteri economici.Attraverso il Capo dello Stato uscente/entrante, infatt, abbiamo avuto modo di scoprire l’esistenza di dieci “saggi” che si sono materializzate dal nulla a sostegno di una situazione che stava precipitando.Quando le impalcature sono state tolte, con la rielezione del Presidente più vecchio del mondo, e con il governo reciclato Letta, i dieci “saggi” sono tornati nel nulla. Apparsi e scomparsi come dei dell’onniscenza, che poi tanto onniscenti non sono stati. Caso mai hanno fatto da infermieri al capezzale di una nazione morente mentre la politica continuava con i suoi consueti giochi di prestigio.Purtroppo, va detto che quell’aria di rinnovamento tanto osannata dai grillini si è tramutata in afa. Così come sono riusciti a perdere l’occasione per rivoluzionare il governo, hanno perso anche pezzi e consensi. E la gente ha iniziato a puntare le pistole verso le istituzioni dopo che le aveva poggiate alla priopria tempia.

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"Noi non siamo, no, dei rivoluzionari sovvertitori. Noi vogliamo che uno Stato forte risorga e per le Leggi comandi!" Cesare Maria De Vecchi, Ottobre 1922

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