venerdì 13 gennaio 2012

Fucilati e contenti.

Lo avevamo scritto poche ore prima che il conduttore di Matrix rendesse pubblica la cosa: l'evasione fiscale è stata la forza trainante di una economica sommersa che ha dato alla nazione italiana la possibilità di sopravvivere e di non finire nella morsa speculativa in  cui è caduta la Grecia.

E' stata una semplice equazione. Vero che l'evasione è, comunque, un atto che si compie contro lo stato. Ma quale governo può pretendere la piena disponibilità economica dei sui cittadini quando questi vengono tassati di oltre il 55% sui loro profitti? Uno stato che esige una simile pressione fiscale può davvero credere possibile che l'evasione fiscale venga debellata? O forse sarebbe più saggio credere che maggiori sono gli emolumenti richiesti e maggiore sarà l'evasione?
Il vero problema che oggi si pone non è tanto l'evasione fiscale in se - in quanto i professori di corte ben sanno che quella parte di economia nascosta è l'ultima linfa vitale rimasta per la vita di una nazione agonizzante - quanto il tipo di evasione. Ne esistono due tipi. Il primo è quello classico maggiormente conosciuto che consiste nella mancata emissione degli scontrini fiscali, delle fatture non emesse, di quelle false, dello scarico di beni non previsto dalla legge e via di questo passo. Il secondo è quello usato da una elite di persone che trasferiscono i loro capitali verso i famigerati "paradisi fiscali".

Dei due, quello che andrebbe combattuto e debelleato "ad alzo zero" (per riprendre l'espressione usata da Catricalà a Matrix), è il secondo tipo di evasione fiscale. Il primo, infatti, crea meno ripercussioni del secondo perché lascia comunque girare il denaro all'interno della nazione permettendo così di far muovere merci e di dare lavoro a persone e aziende che diversamente sarebbero costrette a chiudere a causa dell'enorme esborso economico richiesto dall'Agenzia delle Entrate.

Nel secondo caso il problema è molto più grave di quanto si pensi perchè oltre a non pagare le tasse, l'evasore porta fuori dalla nazione i propri capitali danneggiando l'economia ufficiale e sotterranea dell'intero Paese.

Ma, a quanto pare, nelle attenzioni degli occhiuti funzionari dello Stato non rientrano gli evasori della seconda categoria. Per loro è più facile avventarsi sulle solite prede, negozianti e piccole aziende presenti sul territorio nazionale. Sono i più deboli e i più facili da seguire e colpire.

Da una recente classifica stilata sull'Agenzia delle Entrare circa i bersagli presi di mira dai funzionari di stato è risultato che le categorie maggiormente colpite sono state proprio quelle appena citate, ovvero quelle più deboli, piccole imprese commerciali ed artigianali. Perchè?

Semplice, se fossero state colpite le grandi aziende, sarebbero stati presentati i ricorsi che avrebbero trascinato per anni i procedimenti legali per poi arrivare alla fase di patteggiamento dove la stima dell'evasione iniziale sarebbe stata decurtata fino ad arrivare al  pagamento del 30% circa del valore evaso contestato.

I piccoli lavoratori autonomi, invece, non disponendo delle risorse economiche delle grandi aziende, si sono spesso astenute dall'iniziare un procedimento legale che avrebbe comportato seri rischi economici per i quali non ci sarebbe stata più alcuna salvezza. Piuttosto che rischiare il fallimento molti piccoli imprenditori hanno preferito chiedere la rateizzazione della cifra contestata indebitandosi  per diverso tempo nei confronti dello Stato.

La strategia di colpire i pesci piccoli è stata vincente. Le grandi fabbriche, spesso appoggiate o protette dai politici e loro conniventi, hanno continuato a presentare bilanci manomessi, ed i piccoli imprenditori si sono piegati sotto la sferza degli esattori. Avete forse mai sentito parlare di un controllo dei bilanci della Fiat? O dell'Eni? O di qualche società assicurativa? O di qualche banca? Senza la bancarotta o senza situazioni particolarmente eclatanti - e comunque a cose fatte e soldi spariti - nessun finanziere, nessun sgherro, nessun esattore delle tasse ha mai osato pensare di fare le pulci ad una qualsiasi società di tale spessore.

Non è difficile, quindi, capire su quali spalle sta poggiando l'ennesima manovra finanziaria voluta dal governo delle banche inseditatosi a Roma. Così come non è difficile intuire chi sono quelli che, ancora una volta, sono stati esentati dal peso della crisi. Tra questi ci sono anche i politici italiani che mentre chiedono sacrifici di sangue ai loro connazionali, prenotano a prezzi stracciati - se non gratis - posti su aerei di linea diretti alle Maldive, (Rutelli e Casini docet!)

Così, mentre le banche continuano la loro opera di erosione, mentre le grandi aziende non vengono neanche sfiorate dal passaggio casuale di un esattore o di un agente della Guardia di Finanzia, il governo cosiddetto "tecnico" decide di propinare al popolo caprone la favola del "rilancio economico".

La favola che ci viene raccontata dice che per rilanciare l'economia italiana bisogna che si liberalizzino alcune "caste" privilegiate. Fra queste ci sono i tassisti e i farmacisti.  Non, quindi, una iniezione di moneta contante che produca il movimento della macchina economica ormai inceppata dall'usura bancaria e dalle tasse di stato arrivate a livello di strozzinaggio, non la creazione di posti di lavoro con la messa in campo di opere pubbliche, e neanche la possibilità di essere esentati da un consistente numero di tasse per chi intende aprire un'attività propria. Niente di tutto questo.

Il rilancio economico, secondo la sapienza dei professori saliti sul trono del Parlamento, partirebbe con la frammentazione di quanto esiste già. Vale a dire che se fino a ieri una categoria composta da cento persone si dividevano un utile di cento, oggi quell'utile sarà ripartito su mille persone. Ci saranno quindi novecento persone in più che si divideranno lo stesso utile di prima. Con la conseguenza che moriranno di fame tutti e mille.

Più che rilancio economico, questo modo di applicare l'economia di un Paese ci pare un suicidio di massa.

Le liberalizzazioni non sono altro che l'applicazione materiale di un teorema marxista che prevede la divisione di un utile con tutta la collettività. Un concetto folle e illogico che non porta al benessere di nessuno ma che, anzi, crea i presupposti per la morte economica lenta e atroce di tutti.

Il rilancio di un Paese richiede ben altro che la disgregregazione di un bene già esistente. Se in Parlamento vi fossero degli uomini davvero saggi, capaci di ragione fuori dai canoni economici bancari, e non invischiati con gli interessi di queste ultime, questi provvederebbero ad abbassare la pressione fiscale per permettere alle aziende di riprendere ossigeno e investire i loro capitali creando così posti di lavoro ulteriori;  incentiverebbero gli investimenti esteri, oltre che quelli nazionali, esentando le aziende investitrici dal pagamento di una parte delle tasse dovute per un certo periodo di tempo. Lo Stato stesso ritornerebbe ad essere parte esterna alle contrattazioni che avvengono tra privati e aziende, salvaguardando solamente la parte giuridica, senza inserirsi come terzo incomdo che pretende solo balzelli a vario titolo. Persino con i giochi di Stato come i Gratta e Vinci potrebbe adottare una politica completamente opposta. Invece di dimunuire le vincite dovrebbe aumentarle per incentivare l'acquisto di più biglietti. Anche in questo campo il governo tecnico a fallito. Ha ridotto il numero delle vincite ed ha applicato una tassa aggiuntiva da pagare immediatamente sulle vincite che vanno dai 500 euro in su.

Insomma, questa gente che pretende di governare un paese sta uccidendo il popolo che lo abita.

Non ultimo il caso dei posti di lavoro per i giovani. Bisogna dare lavoro e speranza ai giovani esordienti. E come? Con le tasse da estorsione imposte e con lo stato di polizia tributaria che dilaga in ogni dove? Quale azienda può permettersi di assumere del personale se il costo di un dipendente prevede il pagamento dei contributi pari allo stipendio che  percepisce il lavoratore?

Ma, a dirla tutta, fa acqua già il concetto primario. Lavoro ai giovani, Va bene, ma ai quarantenni, ai cinquantenni che perdono il posto di lavoro e che hanno problemi economici maggiori di un giovane lavoratore? Per costoro va decretata la morte sociale e civile? Per quelli che dall'oggi al domani si ritrovano a casa, con una famiglia, dei figli, un mutuo da pagare e che non hanno più vent'anni, non c'è futuro? Possono morire tutti?

Le follie di questo governo e di quelli precedenti meriterebbero la presenza di psichiatri di fama mondiale. Solo menti folli possono creare condizioni di pre morte come quelle che allegramente ci vengono propinati quotidianamente dai telegionali e carta stampata. Ci uccidono prendendoci per il culo. Ci pugnalano dicendo che lo fanno per il nostro bene. Ci dissanguano dicendo che il salasso ci fa rimanere snelli ed agili.

Gli ufficiali cinesi di Mao Tze Tung, quando dovevano fucilare un rivale politico, molto spesso usavano accompagnarlo al patibolo parlandogli per fargli capire che la sua morte era giusta, che doveva accettare la fucilazione come una cosa normale, che quanto gli stava per capitare non doveva nè spaventarlo, né considerarlo irrazionale. Era giusto così e doveva morire convinto  di questo.

La stessa cosa sta succedendo a noi. Ci stanno portando al patibolo dicendoci che è giusto morire perchè in questo modo le banche ne trarranno dei benefici. E noi siamo quasi pronti a dire di si, che hanno ragione, che ci devono ammazzare tutti, ma lentamente, perché è giusto così, perché noi siamo percore, e le pecore, dopo aver dato lana e latte, si lasciano straziare le carni che verranno date in pasto agli opulenti suini che siedono sui troni d'oro delle banche internazionali. E noi diciamo di si, e ci avviamo da soli al palo. E moriamo come idioti, incapaci di di qualsiasi ribellione, perchè prima della carne, hanno già ucciso la nostra anima.

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"Noi non siamo, no, dei rivoluzionari sovvertitori. Noi vogliamo che uno Stato forte risorga e per le Leggi comandi!" Cesare Maria De Vecchi, Ottobre 1922

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